Incredibile a dirsi, ma ormai per la riforma elettorale è una corsa contro il tempo. Un conto alla rovescia che sta precipitando addosso alla sentenza della Corte Costituzionale che il 3 dicembre, cioè martedì prossimo, si pronuncerà sul Porcellum e, a detta di molti, la smonterà pezzo per pezzo rendendo così più o meno illegittima una parte del Parlamento italiano. Ma i partiti presenti nelle Camere non hanno trovato uno straccio d’accordo e oggi di nuovo si è arrivati all’ennesimo rinvio nella commissione Affari costituzionali del Senato dove già era stato bocciato il sistema del doppio turno. In particolare al Senato era in programma il voto di due ordini del giorno, incluso quello di Roberto Calderoli sul Mattarellum (l’unico che ha speranza di passare) è slittato a lunedì 2 dicembre alle 20, su proposta di Nuovo Centrodestra, che ha chiesto, secondo quanto viene riferito, più tempo per approfondire il tema, alla luce delle ultime vicende politiche. “Non abbiamo avuto il tempo materiale per riflettere su una posizione del gruppo da proporre” spiega il senatore di Ncd Paolo Naccarato, nonostante molti dei senatori alfaniani siano in Parlamento da anni e quindi in teoria avrebbero potuto arrivare in commissione con le idee già chiare. La più ottimista è Doris Lo Moro (Pd): “La mia preoccupazione non è quella di votare a tutti i costi, ma quella di fare una legge elettorale che sia condivisa”, ma – rileva – “ci sono le condizioni per un voto lunedì sera”.
Ad ogni modo non tutto è immobile. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è ripartito in quarta – dopo l’ennesimo scoglio superato dal governo Letta: fiducia al Senato e voto sulla decadenza – e questa legge non la vuole più vedere da tempo. Così oggi il capo dello Stato ha chiamato al Quirinale il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini e il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello: “Se non si muoverà il Parlamento, a quel punto si muoverà il Governo” dice quest’ultimo. Non si tratterà però di un decreto, assicura Franceschini: “Lo abbiamo ribadito svariate volte, l’ha detto anche il presidente del Consiglio: nel momento in cui si registrasse” uno stallo in Parlamento sulla legge elettorale, “il governo potrebbe valutare l’ipotesi di un intervento. Ma in ogni caso non si tratterebbe di un decreto, bensì di un disegno di legge o di un’iniziativa politica”.
Dunque tutte le speranze, in prima battuta, sono concentrate nella seduta serale della commissione, ma c’è chi ci crede poco. Non solo: nella maggioranza c’è chi vuole utilizzare la legge elettorale per “impallinare il governo”, secondo il leghista Roberto Calderoli. “Questo nuovo rinvio lascia pensare che ci sia la volontà di rimandare la legge elettorale alla Camera dove si può votare con il voto segreto. A quel punto anche chi si dichiara contrario al Porcellum potrà votare contro la sua riforma, così da andare al voto con la legge attuale e impallinare il governo”, sostiene. L’ex ministro ricorda un precedente, sul tema della rappresentanza di genere. “La commissione votò per le quote rosa all’unanimità, ma in Aula votarono contro in più di quattrocento. Il ministro Prestigiacomo pianse e minacciò le dimissioni”.
Secondo l’ex ministro far approdare nell’aula di Montecitorio un eventuale disegno di legge di palazzo Chigi, significherebbe – data la possibilità di voto segreto concessa dal regolamento – sottoporre il provvedimento al rischio di finire sotto i colpi bassi di “101 deputati o anche più”. Episodio, è il ragionamento del vicepresidente del Senato, che non solo significherebbe la fine della riforma della legge elettorale, ma anche quella del Governo. A quel punto “si andrebbe a votare con il Porcellum e in questo momento – azzarda Calderoli alludendo a Matteo Renzi – chi è l’unico che beneficerebbe di una legge personalistica?”.
La fantasia di Calderoli forse corre a doppia velocità, ma per usare le parole del senatore del Movimento Cinque Stelle Francesco Campanella, anche il Pd ha le sue responsabilità in questo nuovo rinvio perché “ha più posizioni del Kamasutra”. “Se lunedì non si riuscisse a votare gli ordini del giorno sulla riforma della legge elettorale e la materia dovesse essere demandata tutta alla Corte Costituzionale – aggiunge Campanella – sarebbe la prova dell’impotenza della politica a legiferare su questa materia”.
Quasi sconsolato Roberto Giachetti, l’unico che nel Pd si è battuto fino ad arrivare a un terzo periodo di sciopero della fame (arrivato oggi al 53esimo giorno) nel giro di 6 mesi. “Tanto più voi rinviate, tanto più io vado avanti. Così solo per capirci, amici miei” ha scritto su Twitter il vicepresidente della Camera. Per inciso Giachetti propose un testo in Aula per abrogare il Porcellum il 29 maggio (cioè 6 mesi fa esatti) e la sua proposta fu votata solo da lui, dai Cinque Stelle e da Sel. Votarono contro tutti gli altri sotto l’egida – e per effetto della promessa – del governo che voleva fare andare paralleli i percorsi della riforma elettorale e di quelle istituzionali. Questo cappello che l’esecutivo ha messo fin da subito sulla riforma elettorale è l’esatto motivo per cui, secondo la lettura di Calderoli, il governo su questa partita può rischiare la più sonora delle figuracce.
Come se non bastasse, per finire, ora la maggioranza delle larghe intese, il governo Letta e il presidente Napolitano hanno un avversario in più: “Sulla legge elettorale mi pare che il ministro Quagliariello metta il classico carro davanti ai classici buoi – afferma Renato Brunetta – Innanzitutto perché la Corte costituzionale non si è ancora pronunziata e, a meno di non avere la palla di vetro, il ministro non sa, come del resto nessun altro italiano, che cosa la Corte deciderà e se la legge elettorale sarà dichiarata incostituzionale, in quali parti e con quali effetti”.