Barack Obama, Giorgio Napolitano e Nelson Mandela forse lo verranno a sapere. Galleria Cavour, il tempio dello shopping di lusso a Bologna, è stata pacificamente invasa per due ore dai 48 dipendenti in mobilità dell’azienda Sforza, produttrice artigianale di capi d’abbigliamento d’alta qualità per la casa di moda Brioni, a sua volta fornitrice di camicie da 3mila euro e abiti da 30mila proprio ai blasonati e democratici presidenti.

Prima una lettera inviata in italiano e in francese a monsieur Pinault, titolare del gruppo Kering che nel 2011 ha acquisito il 100% di Brioni, poi la protesta nello spazio coperto più ‘in’ di Bologna, tra gioielli di Bulgari e giacche di Armani: “Siamo qui perché i nostri prodotti finiscono in queste vetrine di galleria Cavour: Gucci, Bottega Veneta, Louis Vuitton, Yves Saint Laurent, Pomellato, ecc…”, spiega una dei 36 dipendenti della sede di Bologna che, come si dice in gergo, ‘prototipizza’ i prodotti Sforza, “senza motivo verremo lasciati a casa tutti dal 31 gennaio 2014, nonostante i conti siano sempre stati più che in attivo. Fatturiamo 20 milioni di euro l’anno, siamo un’azienda sana”.

“Un fulmine a ciel sereno”, spiega un artigiano di Modena che lavora in azienda da ben 28 anni, “nel 2011 con la nuova proprietà visto il vento in poppa delle nostre sedi mi aspettavo nuovi investimenti per migliorare ulteriormente il lavoro e incrementare i profitti, pensate un po’. Gli utili del gruppo Kering esistono grazie al sudore della nostra fronte”.

Ed è proprio su questo punto che si riversa la protesta di tutti i lavoratori delle due sedi – Modena e Bologna, nessuno escluso – tra manager, impiegati e artigiani portati in strada dalla Cgil: “Quello che accade è inspiegabile, le nostre sono succursali dell’azienda che producono utili, infatti l’attività non cesserà ma verrà concentrata nella sede abruzzese di Penne a 500 chilometri di distanza”, racconta un’elegante signora di mezza età, manager del gruppo Sforza, “ci hanno perfino chiesto di trasferirci là, dicono che è vicino. Non vorremmo, però, che questa assurda chiusura avesse un significato politico”.

Così come i dipendenti sono venuti a conoscenza casualmente del loro licenziamento grazie ad una mail aziendale delle alte sfere inviata per sbaglio anche all’amministrazione di Modena e Bologna, tra i dipendenti girano voci riguardanti la “potente” sede centrale, in perdita, di Brioni in Abruzzo nata nei primi anni del Novecento, ora bisognosa di rilancio e che diventerà il centro del core business del gruppo: “Noi produciamo a mano ogni singolo pezzo. Siamo specializzati in prodotti in pelle e stoffa. Il nostro è un prodotto di eccellenza. Sappia quindi, chi veste e acquista prodotti Brioni che d’ora in avanti la produzione passerà da artigianale a industriale, da prodotto di lusso a prodotto di moda. I segnali ci sono tutti”.

Nessun piano industriale presentato, apertura senza preavviso della mobilità in modo che non ci sia tempo per intervenire entro la data di chiusura, sono indizi lampanti per una dismissione decisa forse già da un anno: “A fine luglio se n’è andato via il responsabile”, spiegano i dipendenti modenesi, quelli più legati alla produzione pratica dei singoli capi in pelle, “poi il nuovo addetto arrivato il primo settembre ha fatto capire che quello che producevamo non andava più bene, anche se erano gli stessi oggetti di lusso consolidati nel tempo. L’impressione è che si vada ad una produzione per conto terzi che abbasserà la qualità dei prodotti e che aumenterà la fatturazione all’estero così verranno tolti introiti in tasse per l’Italia”.

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