I militari sono rimasti un po’ spiazzati forse dalla reazione decisa e vigorosa di migliaia di giovani studenti, nonché di diversi movimenti, sindacati e partiti egiziani all’entrata in vigore della legge “ammazzaproteste” (che richiede, tra le altre cose, di indicare in anticipo alla polizia i nomi dei partecipanti alla manifestazione, pena la non autorizzazione della stessa) e per questo motivo la loro reazione è particolarmente rabbiosa. I loro metodi di intervento ricordano quelli dei tempi del dittatore Mubarak: repressione violenta delle proteste pacifiche, arresti arbitrari, maltrattamenti fisici e psicologici nei confronti degli arrestati. Alaa Abdel Fattah, infatti, è stato prelevato di casa la notte scorsa in modo brutale. La polizia non vuole ancora riferire ai familiari dove egli è attualmente trattenuto. L’accusa che gli viene rivolta è quella di aver incitato i manifestanti a protestare contro la nuova legge. I testimoni oculari raccontano di maltrattamenti fisici nei suoi confronti e perfino nei confronti della moglie, già nel momento del blitz a casa sua, soltanto perché egli aveva osato chiedere di vedere il mandato di arresto. Non è la prima volta che Alaa Abdel Fattah viene arrestato; lo aveva fatto Mubarak prima, poi i militari durante il governo dello Scaf, poi Morsi e ora, ancora, i militari. Evidentemente, devono temerlo molto, altrimenti non si spiega perché accanirsi in questo modo contro un uomo, la cui unica colpa è quella di esprimere, con convinzione, la sua contrarietà contro ogni governo oppressivo.
La sentenza del Tribunale di Alessandria che ha condannato invece 21 donne solo per aver portato in piazza dei cartelloni antimilitari, ha scandalizzato perfino Amnesty International che, con una dura e secca presa di posizione, tramite il suo rappresentante per il Nord Africa e il Medio Oriente, Hassiba Hadj Sahraoui, ha dichiarato: “Queste dure sentenze contro giovani donne e ragazze arrivano dopo l’adozione della draconiana legge sulle proteste e la violenta dispersione delle manifestazioni al Cairo. E’ un chiaro segnale che indica che le autorità non si porranno limiti per schiacciare l’opposizione e che nessuno può dirsi al riparo dal loro pugno di ferro. Queste donne e ragazze non sarebbero mai dovuto essere arrestate. Loro sono ora prigioniere di coscienza e devono essere rilasciate immediatamente e senza condizioni”.
In realtà, c’è da aspettarsi che la violenza del governo dei militari, nelle piazze e nei tribunali, aumenti nei prossimi giorni. L’intenzione di restaurare l’ancien regime è evidente ogni giorno di più, è palpabile in ogni atto e decisione. Così come è evidente e palpabile l’intenzione di molti giovani, lavoratori e forze politiche in Egitto di opporsi all’ennesimo attacco ai loro diritti. Le parole di un attivista di Alessandria, in risposta alla mia richiesta di descrivere la sua esperienza durante i 18 giorni di lotta per cacciare Mubarak, nel 2011, spiegano molto bene il motivo per cui non sarà affatto facile cancellare nell’Egitto di oggi le lotte per la libertà e la giustizia sociale: “E’ stato bellissimo! Certo, abbiamo dovuto lottare duramente per liberare la nostra città, alcuni di noi sono morti, ma alla fine ce l’abbiamo fatta: siamo riusciti a cacciare dalla città i poliziotti. Gli abitanti di Alessandria erano così cordiali e diversi senza i ‘cani di Mubarak’ [ndr. poliziotti]. Ognuno di noi era finalmente libero. […] Ovviamente, a un certo punto abbiamo dovuto organizzare i comitati popolari nei quartieri oltre che le nostre pattuglie, per garantire la sicurezza degli abitanti dalle incursioni dei teppisti. […] Questa è stata la mia prima esperienza di auto-organizzazione e ha completamente cambiato la mia vita. Ora so che possiamo essere felici”.