Nell’ultimo spettacolo di Paolo Rossi, qualche giorno fa al Teatro Duse di Bologna, uno degli sketch del grande comico “erbivoro” immagina un incontro tra sogno e realtà con Enrico Berlinguer, ritornato tra i viventi, che gli chiede come sta il Partito, come va l’Italia. Rossi gli racconta un sacco di frottole, perché non ha il coraggio di dirgli la verità: il Partito sta benissimo, dice, è evoluto ma ha mantenuto saldi gli antichi principi, la questione morale finalmente è risolta, la democrazia ha vinto, ecc.
L’attore, scherzando, afferma una grande verità: un’intera generazione, la nostra che si avvicina alla definitiva maturità, sta mentendo a se stessa; ci guardiamo dentro e diciamo che siamo rimasti gli stessi mentre tutto è profondamente cambiato, non solo in peggio, ma in buona parte sì! Il sogno di un’Italia migliore è tramontato: ricordo una frase di molto tempo fa che campeggiava sui manifesti elettorali, “insieme costruiremo un Paese dieci volte più bello”, diceva proprio così, a pensarci viene ancora la pelle d’oca ma ci credevamo, che l’Italia con noi al governo potesse – dovesse – migliorare, anche perché trent’anni di DC ci sembravano insostenibili e per farci forza ci dicevamo: “non moriremo democristiani”.
Chi l’avrebbe mai detto che avremmo dovuto patire anche vent’anni di Berlusconismo (ma sono davvero finiti?).
L’anno prossimo sono trent’anni dalla morte di Berlinguer e già si comincia a discutere di questo storico anniversario: vedrete, ci saranno tante commemorazioni, ognuno cercherà di fare la sua parte, di ricordarlo, di intestarsene l’eredità ma: attenzione, guardatevi dalle imitazioni, da chi insinuerà di essere il vero detentore del patrimonio morale e politico dell’ultimo grande Segretario.
Senza dimenticare, certo, l’altrettanto illuminato ma meno carismatico Alessandro Natta che, per un breve periodo, sostituì Enrico dopo la morte, per essere elegantemente “esodato” dal “nuovo” che anche allora avanzava tumultuosamente con i nomi di Occhetto, D’Alema e Veltroni.
Naturalmente, chi avrà più potere mediatico, s’impadronirà del titolo di “erede legittimo”, magari pensando in cuor suo “ma guarda che s’adda fà pe campà”; ci sarà sicuramente un grande giornalista-editore che ricorderà la fondamentale intervista del 1982, quella della questione morale; ci sarà il nuovo segretario del PD a dire che Berlinguer avrebbe sicuramente sostenuto la rottamazione come metodo di rinnovamento radicale e rivoluzionario. Insomma una corsa a mettersi in testa la corona, ma sicuramente ci saranno anche momenti seri di riflessione, di là dalle partigianerie (cui appartiene anche questo scritto).
La verità è che invece il paese è purtroppo dieci, forse venti volte più brutto di come avevamo sperato, che questa crisi allunga le sue ombre in tutti i meandri della società, e che l’attuale classe dirigente, nel suo complesso, politica, economica e amministrativa, non è in grado di risolverla: mentre la rabbia cresce a vista d’occhio.
Ci aspetta un anno cruciale, un anno nel quale o si pongono le basi per una trasformazione del sistema-paese nel suo insieme o il declino diverrà molto probabilmente slavina e valanga, frana economica e sociale con conseguenze inimmaginabili. Ecco allora che Enrico Berlinguer potrebbe tornare utile, si tratterebbe di leggersi i suoi articoli sul Cile del 1973 che dettero luogo alla formulazione del “compromesso storico” per capire che non c’entra proprio niente con le “larghe intese” ( oggi diventate più strette ma non meno inquietanti) e nemmeno per la verità con questo PD!
Oppure rileggersi il discorso alla festa dell’Unità di Genova dove a lungo trattò acutamente l’analisi della crisi che anche allora, eravamo nel ’78, stava colpendo il Paese, dopo lo shock petrolifero, con una grave inflazione. Un discorso in cui la classe lavoratrice (allora classe operaia) si “assumeva” la piena responsabilità della situazione ma per cambiare profondamente l’indirizzo della politica economica.
Rileggere il discorso sull’alternativa democratica – il suo progetto politico finale che la morte ha interrotto (ma che forse Berlinguer non avrebbe potuto lo stesso realizzare perché una discreta parte del gruppo dirigente del Partito d’allora l’avversava) – per comprenderne la lezione: per realizzare una grande politica occorrono capacità umane e culturali, senso del sacrificio, disinteresse personale e coraggio.
Doti, queste, che nel personale politico di oggi sembrano proprio difettare. Comunque non è il caso di stracciarsi tutti i panni: la Provvidenza comunista, che è il materialismo storico, ci dà ancora la possibilità di analizzare e interpretare i fenomeni economico-sociali e di trovare le risposte ai problemi e alle sfide del nostro tempo, mediante un’analisi critica della realtà. Non è detta l’ultima parola!