Il programma economico del Front National in vista delle comunali e delle europee del prossimo anno. Lontani i tempi del padre Jean-Marie che voleva fare il "Reagan francese" all'insegna dell'ultraliberismo. La presidente ora presenta un mix di proposte che girano intorno a uno Stato interventista e quasi no global
Uscita progressiva dall’euro, accompagnata dal ritorno al protezionismo, al pari di tanti movimenti populisti in giro per l’Europa. E poi una serie di misure, che in certi casi potrebbero essere le stesse propugnate dall’estrema sinistra, come l’introduzione di contributi pubblici per integrare gli stipendi più bassi. E’ il programma economico del Front national: un complesso sempre più dettagliato, sicuramente discutibile, ma coerente, che Marine Le Pen sta definendo man mano che nella Francia in crisi crescono i suoi consensi. L’obiettivo è attirare quella parte del ceto medio ormai “impoverito”, costituito soprattutto dai precari, che anche Oltralpe stanno aumentando sempre più. E’ il nuovo bacino di espansione del partito.
Steeve Briois, segretario generale dell’Fn, lo aveva specificato in settembre: “Abbiamo vinto sul fronte dello sdoganamento. Ora, invece, dobbiamo vincere sulla credibilità”. E per essere credibile il Front deve presentarsi dinanzi agli elettori (le consultazioni comunali a fine marzo 2014 e quelle europee due mesi dopo) con un progetto economico coerente e strutturato. Nelle ultime settimane Marine Le Pen ha messo il piede sull’acceleratore in questa direzione. Il risultato è un mix di proposte, che girano intorno a uno Stato protezionista e interventista, quasi no-global…
Sì, sono lontani i tempi in cui il padre di Marine, Jean-Marie, giocava la carta del “Reagan francese”. Ultraliberismo, deregulation e privatizzazioni a tutti i costi erano le sue ricette fra gli anni Settanta e Ottanta. Poi già dai Novanta l’Fn comincio’ a invertire la direzione e a parlare di politiche sociali. Ma è stata soprattutto Marine Le Pen, nel suo discorso di insediamento, come presidente del partito, all’inizio del 2011, a promuovere una reale svolta, parlando abbondantemente della sensibilità sociale che va riabilitata all’interno dell’economia. La donna, ovviamente, non è una anticapitalista. “Noi non rimettiamo in discussione l’economia di mercato, né i vantaggi della concorrenza, se condotta in maniera leale – ha dichiarato – E’ il capitalismo senza frontiere e i suoi scompensi che non vogliamo”.
Insomma, no alla globalizzazione. E in vena antieuropea. La Le Pen propone “un’imposta sociale” del 3% sulle importazioni in Francia, che si pagherebbe su tutti i prodotti non fabbricati nel Paese. Ripristino, quindi, delle frontiere nazionali e uscita dall’euro, anche se in maniera graduale. Secondo la leader del Front national l’uscita dalla moneta unica “deve essere concordata con i partner europei, preceduta da un negoziato di sei mesi e confermata da un referendum”. Almeno inizialmente l’euro resterebbe in circolazione assieme al franco, introdotto di nuovo. Per giustificare le sue teorie protezionistiche, il Front fa addirittura appello a un economista francese, Maurice Allais, premio Nobel nel 1988, che partì da posizioni anti-keynesiane per arrivare poi a una critica feroce delll’iperliberismo e della mondializzazione.
Quanto alla spesa pubblica, la Le Pen punta a un ritorno al pareggio nel bilancio francese solo nel 2018 (prevede un aumento della spesa pubblica) e quantifica a 11,2 miliardi la somma che vorrebbe all’anno utilizzare per integrare gli stipendi troppo bassi (altro che Reagan…). Il suo progetto economico comporta un aumento automatico di 200 euro per tutti i salari lordi inferiori a 1.500 euro. E’ una proposta in linea con quelle avanzate a più riprese da Jean-Luc Mélenchon, leader del Partito della Sinistra.