Per il Rapporto regionale sulla mafia resta la 'ndrangheta l'organizzazione più radicata sul territorio. Il documento presentato a Brescello dove a inizio novembre vennero sequestrati i beni di un elemento legato alla 'ndrina Grande Aracri
Ottanta clan. Venti miliardi di euro come fatturato. E un patto tra ‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra per spartirsi gli affari. E’ questa la fotografia criminale dell’Emilia Romagna e delle organizzazioni mafiose che hanno scelto la regione come terra di conquista. Il fermo immagine è immortalato nel Rapporto regionale sulla mafia 2013. Il documento, stilato su iniziativa della Camera di commercio in collaborazione insieme alla Fondazione Antonino Caponnetto, viene presentato questa sera a Brescello, provincia di Reggio Emilia. Proprio qui, dove a inizio novembre i carabinieri hanno sequestrato preventivamente i beni di Francesco Grande Aracari, dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, per un valore di tre milioni di euro. Per il rapporto, la misura di prevenzione patrimoniale disposta dal tribunale di Reggio Emilia (su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Bologna nei confronti di un elemento di spicco della ‘ndrina di Grande Aracri), è uno spartiacque: “E’ un fatto importante e raro – si legge nel documento – che sicuramente stabilirà un punto fermo per future iniziative simili”. Nello studio viene fatta una mappatura della miriade di cosche che in Emilia Romagna hanno trovato terreno fertile per i propri business. Trentasei sono le ‘ndrine calabresi, 21 i clan legati alla Camorra, 17 quelli di Cosa nostra e 4 della Sacra corona unita pugliese.
Un’infiltrazione criminale del territorio che fa dell’Emilia Romagna una delle dieci regioni italiane con il maggio numero di beni confiscati alle mafie, con Bologna in testa con 40 confische. Mentre la provincia di Reggio Emilia rimane ancora una zona appetibile, dove operano già 17 ‘ndrine, 4 clan legati alla mafia siciliana, 3 alla camorra, con l’aggiunta della criminalità organizzata proveniente da altri Paesi.
Ma uno degli aspetti più allarmanti è il rischio delle alleanze che le organizzazioni stipulano per accrescere i loro interessi. Dalle ultime analisi e inchieste, spiega lo studio, “emerge che, fuori dai rispettivi confini regionali, le organizzazioni criminali autoctone collaborano effettivamente tra di loro, spartendosi business a tutti i livelli”. “Non c’è una fusione, ma un patto, una sorta di alleanza per accumulare introiti a cascata, tanto che – si osserva – questa evoluzione ha creato una sorta di nuova mafia, ancora più potente: la ‘ndracamostra, originata dalla mescolanza dalle tre più importanti organizzazioni criminali”.