Peccato che per questo sedicente reddito minimo siano previsti soltanto 120 milioni di euro in 3 anni (40 milioni l’anno) e che l’esperimento sia limitato ad alcune aree metropolitane. Per intenderci, il solo comune di Milano, a sostegno degli indigenti, ha stanziato qualcosa come 36 milioni di euro (…e solo per i prossimi 15 mesi).
Nonostante questo Stefano Fassina, vice Ministro dell’Economia, abbia affermato trionfante: “Con la legge di stabilità introduciamo un reddito minimo di inserimento in alcune grandi aree metropolitane” .
Nel sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali abbiamo trovato una relazione del 18 settembre 2013, redatta dal Gruppo di lavoro sul reddito minimo istituito dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali (Decreto del 13 giugno 2013), nella quale si spiega esattamente la natura del “reddito minimo” del Pd. Riassumendo, potrebbe – condizionale d’obbligo – essere un prolungamento della social card, ma anche un nuovo “ammortizzatore sociale”, vincolato alla disponibilità dei soggetti a corsi di formazione o lavori in linea con il propri curriculum.
Uno strumento che richiede una complessa coordinazione tra Centri per l’impiego, servizi sociali, Inps, Comuni, Regioni e Stato. Niente che si avvicini minimamente a un reddito minimo garantito.
Lo stesso governo Letta lo ammette, attraverso la voce del Ministro del Lavoro Enrico Giovannini: “Chi parla dell’arrivo del reddito minimo non ha letto bene i testi in modo coordinato. Quello che ha definito il Senato è un’aggiunta di 40 milioni all’anno, per i prossimi tre anni, al Fondo per la povertà”.
Più che di reddito minimo, si tratta di quel minimo di elemosina sufficiente al Pd per pavoneggiarsi con titoli di giornale che illudono gli elettori.