Dopo la decadenza di Berlusconi e il passaggio di Forza Italia all'opposizione tante le incognite. Non ci sono più né alla Camera né al Senato i due terzi necessari per modificare l'articolo 138, a meno che il Cavaliere non si decida ad appoggiare l'esecutivo dei "traditori"
“Noi abbiamo parlamentari sufficienti per tenere in vita il governo, ma anche viceversa”, minaccia Alfano, facendo capire di avere in tasca la golden share del governo. Decaduto Berlusconi, passata Forza Italia all’opposizione, più di un’incognita resta sul tappeto; a partire dalla legge elettorale e dalle riforme istituzionali. Il quadro è cambiato. E su quest’ultimo fronte, il passaggio all’opposizione del Cavaliere ha fatto venir meno la via tracciata da Gaetano Quagliariello per arrivare in tempi brevi alla revisione costituzionale. Non ci sono più, né alla Camera, né al Senato, i due terzi necessari per modificare l’articolo 138 della Carta con l’elezione del comitato dei 42 attraverso l’approvazione del ddl varato dal governo a luglio scorso, atteso in seconda lettura. A meno che Berlusconi non si decida ad appoggiare i “traditori” del governo, cosa al momento impensabile. E dunque il provvedimento voluto fortemente da Letta, ma sostenuto anche dal Quirinale, in arrivo alla Camera dopo il 9 dicembre, sembra destinato a non vedere la luce. Anche se Napolitano ieri ha fatto pressioni sulla stessa Forza Italia in favore delle riforme.
Il cambiamento di quadro ha convinto, infatti, il capo dello Stato a fare il punto al Quirinale proprio con Quagliariello e con Franceschini sul da farsi. La volontà di fare le riforme istituzionali resta nell’esecutivo, ma dovrà essere tracciata una strada diversa (si parla di far ‘lavorare’ Camera e Senato su pezzi diversi delle riforme velocizzando l’iter che non potrebbe che seguire la procedura ordinaria) ma con una priorità, tra le riforme, che con il passare delle ore si sta trasformando in emergenza, appunto quella della legge elettorale. La riunione della Corte costituzionale che dovrà rivedere il Porcellum incombe (è prevista il 3 dicembre), ma ieri, ancora una volta (e forse non a caso) è andata a vuoto la riunione della commissione Affari costituzionali che sta elaborando la riforma, stallo che ha fatto inalberare Quagliariello: “Se non si muoverà il Parlamento a quel punto lo farà il governo”. Un decreto per cambiare la legge? Franceschini lo esclude, ma sta di fatto che ieri a chiedere di fermare le macchine in commissione al Senato sono stati gli alfaniani, ancora incerti – almeno ufficialmente – sulla linea da tenere. E ora, visto il quadro, che conta anche i commenti contrastanti di Scelta civica, Sel, Lega è probabile che la materia venga sottratta alla competenza del Senato e ripassi all’esame della Camera. Al momento, al Senato ci sono solo due ordini del giorno da votare, uno della Lega che propone il Mattarellum e uno del M5s che propone il modello spagnolo. Insomma, è ancora buio pesto. Anche se sono in molti a sottolineare che per Renzi sarebbe già un successo andare alle primarie con in tasca la vittoria sullo spostamento della legge elettorale alla Camera. Dove i suoi numeri farebbero la differenza.