Che effetto vi ha fatto vedere in Tv (o sul web) tre uomini bianchi attorno ai 40 anni contendersi la Segreteria del Partito Democratico? A Pippo Civati, che era parte dei tre, non ha fatto una buona impressione. Ha fatto notare che quel parterre non era il massimo quanto a rappresentanza di genere. A me, invece, ha fatto una buona impressione. Perché per quanto noi italiani siamo ridicolmente indietro sul terreno delle pari opportunità e sulla multiculturalizzazione della nostra classe politica – siamo un popolo che ha accolto la sua prima ministra nera appena sei mesi fa, e alle volte con eleganti lanci di banane – l’idea che il prossimo segretario del Pd possa essere uno fra Civati, Cuperlo e Renzi mi ha messo un pizzico di leggero ottimismo. In tempi di geronto-semi-monarchia napolitana, se un quarantenne diventa segretario del partito di maggioranza relativa è già qualcosa.
Stando al giudizio dei lettori dei principali quotidiani italiani (Repubblica, Corriere, Stampa, Il Fatto Quotidiano, L’Unità, Messaggero) il confronto a tre per le primarie del Pd è stato vinto proprio da Civati. Per gli spettatori di Sky, invece, Renzi ha convinto di più col 49% delle preferenze, Civati si è piazzato secondo col 36% e Cuperlo è arrivato bronzo.
Seguo dall’inizio la campagna di Pippo Civati e questa sua fortissima popolarità non mi stupisce affatto. Civati, fra i tre, è il candidato più coerentemente socialdemocratico. In un partito che si trova – suo malgrado, viene da dire – a ricevere milioni di voti ex comunisti, ex socialisti, ex laici di centrosinistra, ex democristiani di sinistra, insomma voti che in Europa si chiamano semplicemente socialdemocratici, è logico che le idee civatiane, per altro ben comunicate con calma e restando nei tempi assegnati, abbiano fatto breccia.
Andare in Tv a dire: “Io di Alfano non mi fido, è quello delle leggi ad personam” oppure “Cancellieri si doveva dimettere, e se diventerò io segretario del Pd la questione la riaffrontiamo” o anche “Sono per il matrimonio egualitario per tutti [incluse le coppie dello stesso sesso, nda], compreso il diritto all’affido e all’adozione, pensi un po’, nel rispetto dell’Art. 3 della Costituzione“ possono sembrare affermazioni banalotte all’interno del dibattito del maggior partito progressista. Non lo sono più se i tuoi competitori invece dicono cose molto diverse, tipo “Questo [con Alfano] è il nostro governo, e lo sosterremo fino alla fine“, “Cancellieri è un importante ministro del nostro governo” [Cuperlo], e sull’idea di riconoscere uguali diritti civili per tutti, si ammette con una certa faccia tosta: “Su questo sono stato dipinto come il candidato con le posizioni più timide, ed è vero” [Renzi]. Immagino che se Renzi fosse stato un politico americano di cento anni fa, si sarebbe schierato fra quei politici cacadubbi sull’opportunità del matrimonio interrazziale. No, no, non ci siamo proprio.
Non si contano i commentatori che hanno lodato la performance civatiana. Fra quelli che ho letto, solo Emanuele Ferragina, per altro civatiano della primissima ora, ha posto delle critiche costruttive proprio dalle colonne del suo blog sul Fatto. Ammetto anche io di sentirmi più vicino al politico brianzolo rispetto che agli altri due, e aggiungo anche di essere uno dei pochi sciocchi scesi dal carro del probabile vincitore, poiché alle scorse primarie votai per due volte Matteo Renzi. Un Renzi che oggi mi convince meno rispetto a Civati per una serie di questioni politiche, a cominciare dal progetto di riforma istituzionale, di cui magari parleremo in un prossimo post.
Proprio perché mi sento vicino al candidato brianzolo, è giusto seguire l’esempio di Ferragina e muovere la mia piccola critica a Civati: in un dibattito televisivo due battute spiritose azzeccate sono un grande pregio; tre un difetto. Perché si appare agli elettori più anziani e ai meno inclini a votarti come un bravo battutista, anziché un affidabile statista. E, dopotutto, di grandi battutisti la politica italiana degli ultimi tempi ne ha già a sufficienza.