Il voto appresentava un’ultima chance. Il Senato aveva solo una possibilità, poche ore, per riuscire ad incardinare una riforma possibile della legge elettorale prima che fosse la Camera a scippargliela. E invece la commissione Affari costituzionali del Senato che doveva riunirsi lunedì 2 dicembre per valutare ed eventualmente votare sugli ordini del giorno di riforma della legge elettorale presentati da M5S e Lega è stata annullata.
Sarebbe stato necessario trovare un accordo per il ritorno al Mattarellum, corretto – certo – in modo da continuare a garantire il bipolarismo, ma comunque una marcia indietro verso la vecchia legge elettorale. Sarebbe stata una svolta dopo mesi – anzi, anni – di tentennamenti, fughe in avanti e vistosi cambiamenti di rotta, solo che, come sempre, all’ultimo l’accordo è saltato. E martedì 3 dicembre la Consulta deciderà se prendersi più o meno in carico una revisione costituzionale del vituperato Porcellum che diventerebbe così, subito, una legge a forte rischio incostituzionalità. Con le conseguenza politiche del caso: un intero Parlamento eletto con una legge incostituzionale? Non si è mai verificato, nella storia repubblicana, un momento così delicato, ma nessuno sembra prendere troppo sul serio l’argomento.
Anche se appare difficile che la Corte rigetti la questione, visto che a metterla sul tavolo è stata la Cassazione, che ha ritenuto fondato il ricorso di alcuni cittadini secondo i quali diversi punti dell’attuale sistema di elezione del Parlamento limitano il diritto di voto. I ricorrenti hanno puntato il dito sul premio di maggioranza, sul meccanismo delle liste bloccate e sul presunto limite posto ai poteri del capo dello Stato nella designazione del presidente del Consiglio. E le prime due questioni di costituzionalità, per altro, hanno già passato il vaglio della Suprema corte, dopo che i primi due gradi di giudizio le avevano ritenute infondate. Ora, dunque, è il turno della Consulta su tutto il sistema dettato dal Porcellum. Le previsioni parlano di un sostanziale slittamento della decisione dei giudici supremi a gennaio 2014, ma nel frattempo in Parlamento si sarà giocata l’altra partita.
Alcune ore prima, al Senato, si sosteneva che persino Roberto Calderoli, padre orgoglioso della porcata elettorale, sarebbe stato convertito dalla maggioranza della commissione Affari Costituzionali a dare il suo sì all’accordo sul Mattarellum (corretto), ma qualcuno sospetta che si voglia invece attendere di capire cosa farà la Consulta prima di dare un colpo di spugna sul passato. A favore del Porcellum d’altra parte, ci sono sia Grillo che Berlusconi. E anche tutta una fetta (consistente) del vecchio Pd; se, insomma, la Consulta, alla fine, respingesse al mittente la questione, per molti sarebbe un sollievo. E del Porcellum non ci libereremmo mai più.
Anche per questo i più avveduti politicamente non avrebbero voluto che la possibilità di revisione della legge elettorale lasciasse il Senato. Perché nell’omologa commissione di Montecitorio sarà molto più complicato porre un freno all’irruenza dei renziani, decisi ad avere la meglio su chi fa proclami, ma poi lavora perché tutto resti com’è. Almeno a parole. A Montecitorio, il peso degli uomini del sindaco di Firenze (più numerosi alla Camera) sarebbe determinante dentro il Pd per un esito positivo della questione. Berlusconi e i suoi, però, pensano l’esatto contrario. Che cioè anche il sindaco voglia disarcionare Letta per andare a votare ad aprile con il Porcellum e per questo aspettano quello che accadrà dopo l’8 dicembre, quando a Renzi sarà chiesto di prendere una posizione chiara sulla tenuta del governo.
Insomma, per paradossale che possa essere, anche l’agognata modifica del Porcellum risente delle contingenze del momento. Come sempre, come ormai da troppo tempo. Tanto che più che dalla Consulta, le sue sorti potrebbero dipendere dagli equilibri che usciranno l’8 dicembre dalle urne dei gazebo delle primarie del Pd. E sarebbe, veramente, uno scandalo nello scandalo.
Aggiornato dalla redazione web alle 18