Roma, aeroporto di Fiumicino
Sono le otto del mattino e ho mal di testa.
In fila per i controlli vengo accerchiata da due famiglie con sei bambini a carico, tre a coppia. Sono rumorosi, molesti e maleducati.
La mia intolleranza verso quei pargoli e, ancor di più, verso i loro creatori è altissima. Riesco comunque a provare un briciolo di compassione mentre li osservo rispondere alle migliaia di domande che i bambini porgono loro.
Un paio urlano e toccano la mia valigia, gli altri si buttano a terra. Il più piccolo piange e il più grande mi ha già scontrato volontariamente tre volte.
Provo a mettermi nei panni dei genitori e mi soffermo qualche minuto a pensare alla tortura che deve essere viaggiare con sei bambini piccoli e agitati, oltretutto di prima mattina.
Finalmente è il mio turno. Priva di qualsiasi oggetto metallico e passaporto alla mano oltrepasso il metal detector.
Suono.
Tolgo le scarpe.
Suono.
Mi perquisiscono.
Risuono.
Consegno il passaporto all’addetta alla sicurezza. Il fastidioso allarme finalmente si placa.
Comincia quindi a sfogliarlo con cura, capovolgendolo verso il basso. Dall’ultima pagina emerge il colpevole: un preservativo (il rivestimento è in metallo).
La madre dei pargoli (una fervente cattolica?) lo raccoglie con una smorfia di disapprovazione, attirando la curiosità dei bambini che cominciano, a catena, a chiedere cosa sia.
L’addetta alla sicurezza mi lancia uno sguardo di complicità mentre la madre prende tempo cercando l’attenzione del marito impegnato ai controlli. Allora sono io a prendere la parola:
“Questo serve per evitare, un giorno, di viaggiare scomodi”.
(Illustrazione di Lydia Giordano)