Una soluzione temporanea per i 94 dipendenti potrebbe essere la cassaintegrazione: “Vogliamo quella per cessazione, da dodici mesi più altri dodici mesi, per dar tempo ai soggetti interessati di rilevare l’impianto"
“Coca cola non ce n’è. Bevete solo vin brulé”. Hanno cercato di ironizzare con questo striscione, i lavoratori della Coca cola Hbc di Gaglianico (Biella), ma l’umore non era dei migliori. Nella sede dell’assessorato al lavoro della regione Piemonte (dopo il tavolo di crisi tra la multinazionale, le istituzioni locali e i sindacati) è stata confermata la chiusura l’impianto: è il secondo stabilimento italiano del gruppo che si ferma nel giro di un anno, dopo quello di Cagliari. La produzione si fermerà il 28 febbraio. All’Unione industriale di Biella ,sindacati e azienda tratteranno per definire gli ammortizzatori sociali.
In Italia nel 2013 la produzione della Coca Cola Hbc (società greca che opera anche qui) è calata in un anno del 7,6 % rispetto al 2012, anno in cui il volume era già sceso molto. Adesso la società, che a Gaglianico produceva 30 milioni di casse, concentrerà la lavorazione italiana a Nogara (Verona) e Marcianise (Caserta). I dipendenti non si spiegano perché l’azienda abbia deciso di chiudere proprio la loro fabbrica: “Ce lo stiamo ancora chiedendo – dice Yuri Massarenti, che lavora alla Coca Cola da venticinque anni – Siamo un ottimo stabilimento, abbiamo alti standard di sicurezza e di qualità. La nostra acqua è una spanna sopra le altre”. Nonostante ciò, l’azienda aveva le idee chiare già da tempo.
A metà ottobre è arrivata la notizia della chiusura, ma i segnali erano riconoscibili da mesi. A gennaio, quando si fermò l’impianto sardo, la società decide di esternalizzare la gestione del magazzino biellese e la distribuzione. “Pensavamo di aver già dato”, dice Massarenti. Ma non era finita. Non sono bastate le concessioni degli enti locali, i piani regolatori variati per permettere la costruzione di un magazzino o i bassissimi canoni per l’ utilizzo delle fonti di acqua. “In questo Paese le multinazionali arrivano, gli enti fanno i ponti d’oro per loro, ci sfruttano e poi se ne vanno così”, denuncia Marvi Massazza Gal, segretario generale della Cgil di Biella. L’unica speranza ora è che l’azienda favorisca l’insediamento di un’altra società: “Abbiamo bisogno di tempo per provare a salvare lo stabilimento con un nuovo proprietario oppure per trovare nuovi posti di lavoro per i dipendenti”, continua la sindacalista. La situazione del biellese però è drammatica: la crisi ha già fatto chiudere numerose aziende tessili della zona. “Ci sono 20mila persone iscritte ai centri per l’impiego a cui bisogna aggiungere quelle che sono ancora in cassaintegrazione”, spiega Enrico Cavalli, che lavora allo stabilimento Coca Cola di Gaglianico dal 1995 e fa parte della Flai, sigla della Cgil per i lavoratori dell’agricoltura e dell’industria alimentare.
Una soluzione temporanea potrebbe essere la cassaintegrazione: “Vogliamo quella per cessazione, da dodici mesi più altri dodici mesi, per dar tempo ai soggetti interessati di rilevare l’impianto e ai lavoratori di rimanere in attività”, continua Cavalli. Fiduciosa l’assessore regionale del Piemonte al Lavoro, Claudia Porchietto, dopo l’incontro con la dirigenza della società: “Ho chiesto e ottenuto un impegno da parte dell’azienda per costruire insieme, in una serie di tavoli istituzionali a cabina di regia regionale, un piano di re-industrializzazione del sito, che permetta di non far morire l’area e anzi offra nuove occasioni di ricollocazione o nuova occupazione”. Questa sfida comincia già domani.