Avrebbe difeso gli interessi dell’economia nazionale, garantendo “l’autonoma conduzione di fondamentali settori strategici” da una possibile invasione di Fondi Sovrani nel nostro Paese. Si sarebbe prodigato nella identificazione di iniziative normative idonee a salvaguardare gli ambiti economici di maggiore interesse. Ma anche nella formulazione di strategie in materia di sviluppo sostenibile nei Paesi in via si sviluppo.
Questi sono gli alti compiti che avrebbe svolto negli ultimi cinque anni un organismo – il Comitato strategico per lo sviluppo e la tutela degli interessi nazionali in economia – che vide la luce nel 2008, per la forte volontà dell’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Sotto la spinta – si legge in un documento del centro studi della Camera – della “preoccupazione che l’apparire dei Fondi Sovrani ha destato” per via “della potenziale commistione, nelle loro strategie, di interessi economico-finanziari e interessi geopolitici […] con possibili pesanti ingerenze nell’autonoma conduzione di fondamentali settori delle economie nazionali occidentali”.
Peccato, però, che del Comitato si siano perse le tracce e della attività esercitata, agli atti, non risulti nulla di significativo. E intanto su di lui è da tempo sceso un alone di mistero. Dell’istituto, che dipende dal ministero degli Affari Esteri, ilfattoquotidiano.it ha provato semplicemente a capire quali fossero i suoi membri, cosa avesse fatto di strategico per difendere gli interessi economici nazionali, se ci fosse una relazione delle azioni intraprese. Ma le reiterate richieste, formulate anche per iscritto e reiterate per ben tre volte, sono rimaste senza risposta.
Eppure il comitato dovrebbe essere tuttora attivo, visto che è addirittura previsto da una legge dello Stato. Per la precisione da un comma inserito nella legge n. 133 del 6 agosto 2008 recante “disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”. In quel comma si rinviene la mission, sulla carta davvero di peso, attribuita al comitato: […] analisi, indirizzo, supporto e coordinamento nel campo dei fenomeni economici complessi propri della globalizzazione quali l’influenza dei fondi sovrani e lo sviluppo sostenibile nei Paesi in via di sviluppo”.
Per comprendere cosa possa aver prodotto c’è solo una traccia, costituita da una paginetta scaricabile dal sito del ministero degli Affari esteri, stilata almeno un anno e mezzo fa. Oltre al riepilogo dei compiti istituzionali dell’organismo, nel documento è presente uno scarno elenco delle attività messe in campo: l’organizzazione di due visite in Italia (nel settembre 2009 e nel maggio 2011) dei responsabili della KIA – Kuwait Investment Authority, di tre visite dei responsabili della CIC – China Investment Corporation (nel febbraio 2010 e nel febbraio e settembre 2012) e di una con i responsabili di Qatar Holding (nel marzo 2012).
Il Comitato poi, vista la rilevanza degli argomenti trattati, avrebbe dovuto essere composto, per espressa indicazione di legge, da “personalità di alta qualificazione professionale nei previsti settori di intervento, nonché qualificati rappresentanti di vari Ministeri”. Sappiamo che, al momento dell’avvio dell’iniziativa, furono cooptati nel comitato Enrico Vitali, socio di Tremonti nel suo studio tributario e Giancarlo Innocenzi Botti, attuale presidente di Invitalia – l’agenzia per l’attrazione degli investimenti controllata dal ministero del Tesoro – , già dirigente Mediaset e parlamentare di Forza Italia, nonché sottosegretario nel governo Berlusconi II. Ma gli altri nomi degli esperti, o supposti tali, che hanno fatto e fanno parte del comitato sono ignoti. L’unica cosa certa è il fatto che negli anni successivi alla costituzione del comitato, l’Italia, come noto, è stata come lo è tutt’ora, terreno di conquista. Da parte di imprese estere e pure di Fondi Sovrani.