La cosa che colpisce di più è l’atmosfera, triste ma composta. Una fila di facce meste scorre lenta con una candela in mano, attraversa la ressa come se corresse su un binario invisibile. Non si sentono pianti, sono pochissimi e discreti, pochissime lacrime, scorgo solo una donna gridare, sorretta da due uomini, un’altra si sente male e viene soccorsa. Sullo sfondo il canto che si ripete di un coro di donne, continuo e sempre identico, non riesco a comprendere le parole ma ricorda molto un canto di chiesa. Per il resto silenzio, per terra sono deposti fiori e candele. Davanti alle foto dei sette c’è un prato di fiori freschi e dei piccoli ceri a formare un cuore e una svastika, che nel buddismo cinese rappresenta l’infinito. In fondo la grande tomba, annerita dal fumo, alla finestre inferriate come quelle di una prigione, vetri rotti, sacchi di tessuto e bottoni sparsi per terra.
Dove sono gli italiani? Non vedo nessuno. Cioè, sono tantissimi ma li conosco tutti. Mi guardo intorno: politici, sindacalisti, giornalisti, associazioni. Cammino e ho difficoltà a vedere un volto sconosciuto. I politici sono tutti di sinistra. A rappresentare il Comune non c’è neanche il sindaco, dice che commemorerà domani in Consiglio comunale ma oggi ha delegato un suo assessore. Non ci sono tutti quelli che hanno popolato le trasmissioni televisive e i servizi dei telegiornali degli ultimi giorni.
Per il resto solo cinesi, tanti, tantissime donne soprattutto. E’ stato dichiarato il lutto cittadino ma la città è assente, almeno in parte. Sono morti sette lavoratori, sfruttati, reclusi, nel cuore produttivo della città, eppure il lutto appare una cosa quasi privata. I brevi interventi di commiato sono in cinese e neanche tutti vengono tradotti. Dov’è la mia città? Continuo a guardarmi intorno e penso che se fossero morti sette italiani sarebbe stata esattamente la stessa cosa, a parti invertite.
Eppure prima di venire qui ho letto del dolore anche negli occhi degli italiani, ma non è il dolore che sconvolge il villaggio, è più simile al dolore per i morti del tifone Haiyan nelle Filippine, forte ma “lontano”.
Già mi immagino la discussione finiti i giorni dell’emozione, le stesse storie, le stesse accuse e la stessa voglia in fondo di lasciare tutto com’è. Due città nello stesso spazio, ognuna con i propri volti, i propri tempi e le proprie regole. Forse prima o poi capiremo che non risolveremo i nostri problemi finché non mischieremo le nostre vite fino a diventare un’unica comunità.
Forse… perché oggi, anche nel dolore, siamo ancora molto “lontani”.
Twitter @lorerocchi