Qualche volta, diamo proprio il peggio di noi stessi: sfoggiamo un mix di ‘Come si permette? Lei non sa chi sono io’ e di spavalderia alla Maramaldo, quello che ‘Vile! tu uccidi un uomo morto’. Prendiamo le reazioni alla sortita di Olli Rehn, responsabile europeo degli Affari economici, che dichiara e reitera il proprio scetticismo sull’abbattimento del debito italiano nel 2014.
Ora, uno può benissimo contestare che l’abbattimento del debito, così come il mantenimento del deficit sotto il 3% del Pil, siano delle priorità. Ma alzi la mano chi non è scettico sull’impatto della Legge di Stabilità, della spending review, delle dismissioni e di quant’altro il governo ci propina per fare quadrare i conti: lo sforzo atteso dalle autorità comunitarie l’anno prossimo è di almeno sette miliardi (di riduzione del debito); Roma per ora è in grado di assicurarne al più uno e mezzo.
L’appuntamento tra Italia e Ue per fare le pulci al bilancio è a febbraio 2014: di qui ad allora, possiamo aspettarci punzecchiature e moniti, che un po’ lasciano il tempo che trovano. Ma la sortita di Rehn è stata accolta da un fuoco di sbarramento pesante: il presidente Napolitano, il premier Letta, il ministro dell’Economia Saccomanni, tutti –chi più chi meno- se la sono presa con il vice-presidente della Commissione.
Mi viene, e mi resta, il sospetto che se Rehn non avesse dichiarato, giorni fa, l’intenzione di candidarsi al Parlamento europeo e alla ‘nomination’ liberal-democratica alla presidenza della Commissione – mosse che implicano una auto-sospensione dall’incarico -, le reazioni non sarebbero state così dure. Né, forse, a onor del vero, le sue parole non sarebbero state così schiette.
Il premier Letta è quasi vittima di una crisi di nervi (e, senz’altro, di una caduta di gusto): afferma che il vice-presidente della Commissione “non si deve permettere” di esprimere scetticismo sull’Italia –che è?, lesa maestà?, ma deve svolgere un ruolo di “garante dei Trattati” dell’Unione, dove “la parola scetticismo non c’è”. Quindi, Rehn non può azzardarsi ad “esprimere un concetto di scetticismo, ma deve parlare di stabilità e di equilibro finanziario”.
Il presidente Napolitano è più ecumenico: “A livello delle istituzioni europee si impone una correzione di rotta e un impegno nuovo per promuovere la crescita e l’occupazione”. Il ministro Saccomanni, favorito dalla distanza e dal fuso –sta a New York-, smorza i toni –forse perché il primo a essere scettico sui nostri conti è proprio lui-: “Non c’è niente di nuovo in quello che Rehn ha detto”, riconosce.
Finisce, così, che Rehn ci impartisce una lezione di valori fondanti dell’integrazione europea –di solito, siamo noi a darne-, facendo l’elogio della libertà d’espressione e, quindi, di scetticismo; e confermando, a distanza, l’analisi di Saccomanni, nulla di nuovo, solo la conferma di cose già dette: “Abbiamo imparato dall’esperienza che gli Stati hanno tendenza a sovrastimare le entrate delle privatizzazioni”.
E allora, premier Letta, perché prendersela tanto?, forse per evitare che i mercati diano più retta a Rehn che a lei?, o perché la preoccupa la prospettiva di un Rehn alla presidenza della Commissione?, o perché ha la coda di paglia di essere un po’ scettico anche lei sui nostri conti? Certo che ieri parevate uno sketch di Totò e Peppino.