Un bilancio fallimentare per la “fortezza Europa” che, oltre a rivelarsi tutt’altro che inespugnabile, non riesce a evitare che i viaggi della disperazione assumano i contorni di una tragedia permanente. Secondo i dati aggiornati alla metà dello scorso mese di ottobre, le persone morte in mare dal 1988 sono 19.372, di cui 2.350 solo nel corso del 2011, cifra scesa a 590 lo scorso anno, mentre nel 2013 sono già circa 700.
Cifre che conducono a una conclusione inequivocabile: la rotta marittima verso l’Europa è diventata “la più pericolosa al mondo”. Non solo per le condizioni estremamente precarie in cui sono costretti a viaggiare i migranti, stipati su imbarcazioni insicure e sovraccariche (ora, soprattutto dal Nordafrica verso la Spagna, si tentano spesso impossibili traversate anche a bordo di piccoli canotti gonfiabili), ma anche per la sorveglianza sempre più rigida da parte dei paesi Ue, che costringe i migranti a scegliere rotte più lunghe e a più alto rischio. Lo si vede anche dai grafici che corredano lo studio del Migration Policy Centre: fino al 2007, il principale paese di destinazione era la Spagna (relativamente prossima al continente africano), ora è l’Italia, più lontana e difficile da raggiungere.
Una svolta spiegabile, in parte, con gli accordi bilaterali conclusi dal governo Zapatero con Senegal, Mauritania e Marocco per frenare i flussi migratori all’origine. E con i controlli sempre più severi per bloccare l’accesso a Ceuta e Melilla. Ora, con il dispositivo di vigilanza Eurosur entrato in funzione due giorni fa, l’Europa si propone di lottare contro l’immigrazione clandestina e “salvare i profughi che fuggono via mare”. Proposito tutto da verificare, dopo i fallimenti degli ultimi anni.
Il Fatto Quotidiano, 4 Dicembre 2013