Cronaca

Italiani bloccati in Congo. “Qui per adottare, ma ora non riusciamo a tornare”

Ventisei coppie di genitori adottivi sono fermi a Kinshasa da un mese. La colpa? Della burocrazia. La Farnesina: "Al corrente della questione, lavoriamo per il rientro"

Da un mese 52 cittadini italiani sono bloccati a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. La colpa? Di una firma. Sono tutti genitori adottivi in attesa di poter rientrare in patria insieme ai loro figli. A raccontare la vicenda sono gli stessi protagonisti di questa disavventura. Chiedono risposte e aiuto alle autorità italiane affinché intervengano per mettere ordine nel complesso pasticcio burocratico in cui sono piombati. Dalla Farnesina rispondono che conoscono il problema e che sono “intenzionati a promuovere ogni iniziativa utile per favorire il pronto rientro in Italia di genitori e bambini”.

Ma andiamo con ordine. Bloccate nelle secche della burocrazia internazionale ci sono 26 coppie di genitori adottivi che, dopo aver sbrigato tutta la lunga e doverosa trafila legale prevista per l’adozione (colloqui con psicologi, forze dell’ordine, magistrati del tribunale dei minori), hanno ricevuto l’agognato via libera per andare nella Repubblica democratica del Congo a incontrare quelli che a tutti gli effetti sono i loro figli e portarli finalmente in Italia.

“L’autorità congolese che rilascia i visti di uscita per i bambini ha bloccato il suo lavoro da due settimane e quindi sono qui in attesa con altre coppie – racconta Maura Prianti, neo mamma di due bambine – ma dall’Italia tutto tace”. Ma che c’entra l’Italia? “Se io sono qui e se qui ci sono altri 51 cittadini italiani insieme ai loro figli, che già hanno un cognome italiano, è perché la Commissione per le adozioni internazionali (Cai), ha deciso che potevamo partire per venire finalmente ad abbracciare i nostri figli”, spiega Maura, che poi continua: “L’ambasciata italiana a Kinshasa non lo sapeva? Mi sembra strano, ma se due organismi ufficiali dello Stato italiano non si parlano non è un problema mio, né delle mie figlie. Loro sono mie figlie perché ben due sentenze di due tribunali congolesi dicono che lo sono. Lo confermano i timbri dei vari ministeri congolesi, oltreché l’autorizzazione all’ingresso e alla residenza permanente rilasciata dal mio Stato”.

Nel corso del lungo iter previsto per le adozioni, quando questo era quasi concluso e l’ambasciata italiana aveva dato il suo ok, la Commissione per le adozioni internazionali ha cambiato unilateralmente l’ente di riferimento (necessario per completare l’operazione): “Un ente che non avevamo né scelto né mai incontrato prima, ma che abbiamo dovuto pagare e accettare in silenzio. Anche in questo caso abbiamo rispettato una decisione presa dallo Stato italiano, che ci è costata un ulteriore esborso economico e tanto stress. Perché lo Stato decide, ma a pagare siamo noi”. Così passano le settimane e il 25 settembre l’autorità congolese ha comunicato allo Stato italiano e a tutti i Paesi che adottano in Repubblica democratica del Congo che, essendo venuti a conoscenza di seconde adozioni (cioè di bimbi dati di nuovo in adozione), avrebbe bloccato tutti i permessi in uscita per i minori congolesi per i successivi 12 mesi. “Un fulmine a ciel sereno per noi che avevamo il volo cinque giorni dopo. L’Italia non c’entra nulla con questa storiaccia delle seconde adozioni: da noi non solo non sarebbe possibile, ma è un reato. In un mese, infatti, l’Italia riesce a dimostrare che da noi le adozioni sono tutte regolari che i bimbi adottati stanno bene e stanno con le loro famiglie”.

Ma i giorni passano e si arriva al 7 novembre: le coppie che hanno ricevuto il via libera partono. Arrivati in Congo abbracciano i loro figli e, come prevede la legge locale, depositano i passaporti in attesa dei visti per l’uscita: “In genere, ci vogliono un paio di settimane, ma deve essere successo qualcosa, non sappiamo bene cosa, perché non siamo stati informati dalla nostra ambasciata – lamenta Maura – Sembra che le autorità congolesi abbiano ritrovato nuove irregolarità in documenti di coppie non italiane”. Ora le famiglie italiane bloccate sperano di poter rientrare almeno per Natale e si appellano alla Farnesina affinché risolva la loro situazione.

“È una vicenda di cui non ci sfuggono i risvolti umani – fanno sapere dalla Farnesina – e alla quale stiamo dedicando massimo impegno, sia al ministero che tramite la nostra ambasciata a Kinshasa”. Stando alle indicazioni che arrivano dal ministero degli Affari esteri l’ambasciata avrebbe attivato tutti i possibili canali di comunicazione con le autorità locali per ottenere un celere rientro in Italia di genitori e bambini. Al momento non c’è stato alcun riscontro da parte delle autorità congolesi. “Il nostro ambasciatore ha portato la vicenda all’attenzione del ministro dell’Interno di Kinshasa e dello stesso primo ministro, chiedendo di essere ricevuto in tempi brevi”, ha spiegato il portavoce della Farnesina che ha anche ricordato come il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge abbia effettuato a inizio novembre una missione a Kinshasa con il preciso scopo di sbloccare le pratiche adottive. “Confermo la prioritaria attenzione con cui la vicenda continuerà a essere seguita dalla Farnesina e dal ministro Emma Bonino personalmente, in stretto coordinamento con gli uffici del ministro per l’Integrazione e con la Cai”.