Dopo l’aeroporto tocca alla Fiera e al nuovo Palacongressi? È finita un’era? Questo l’interrogativo alla base dello psicodramma che si consuma in questi giorni tra i palazzi della politica e dell’economia a Rimini. Dopo il fallimento dichiarato la settimana scorsa dal tribunale della società aeroportuale Aeradria, schiacciata da 52 milioni di euro di debiti, ora tremano infatti tutti gli altri “pilastri” della riviera. Costruiti nell’ultimo decennio a suon di debiti da centinaia di milioni di euro- non solo pubblici per la verità- ora appaiono come i feticci di un sistema di potere e di affari che, complice la crisi, sembra mostrare ormai tutti i suoi limiti.

È il caso di Rimini Fiera, presieduta da un ventennio dall’ex vicesindaco Pci Lorenzo Cagnoni, che quest’anno per la seconda volta consecutiva chiude l’anno in perdita. Così, si soffre di più la concorrenza con i quartieri di Milano e soprattutto di Verona e Bologna (città dove gli aeroporti funzionano).

A livello di Gruppo Rimini Fiera, questa volta il rosso del preconsuntivo è di 1,9 milioni di euro contro i 570 mila del 2012. Pesa la svalutazione a bilancio (735 mila euro) della stessa partecipata Aeradria dopo il fallimento. L’altra brutta sorpresa è il flop della controllata Convention Bureau, la società congressuale che, nonostante il nuovo palazzo dei congressi-astronave da oltre 100 milioni di euro, nel secondo semestre dell’anno ha collezionato ben un milione di euro di deficit. Non solo: lo stesso impianto finanziario di pagamento del nuovo “Palas”, come lo chiamano a Rimini, sta facendo acqua da tutte le parti (in particolare non funziona il meccanismo delle royalties degli albergatori) al punto che Unicredit, la banca che insieme con Monte dei Paschi ha concesso il mutuo, potrebbe arrivare ad ottenere la maggioranza delle quote della società che gestisce il palazzo (a sua volta partecipata dalla Fiera) come ha denunciato ultimamente la Provincia in una lettera agli altri soci.

Il tutto si incrocia con il mercato che non risponde: quest’anno, infatti, Rimini Fiera spa ha totalizzato solo 7.284 espositori (7.854 nel 2012), 1.725.187 visitatori (1.801.551) e 720.268 metri quadrati venduti (969.392). Considerando il periodo 2008-2013, in effetti, il risultato complessivo segna +1,4 milioni di euro: “Complessivamente il gruppo non perde, siamo una delle poche aziende fieristiche in Italia a poterlo dire”, tiene a rimarcare Cagnoni vedendo il bicchiere mezzo pieno e ostentando un certo orgoglio in direzione Bologna. Il debito del gruppo riminese poi, quasi totalmente dovuto alla realizzazione del nuovo quartiere sulla via Emilia (costò 300 milioni, 40 pubblici), scende ulteriormente a 18,4 milioni di euro (erano 19,4 nel 2012) dimezzandosi rispetto al 2001, l’anno del trasloco da via della Fiera proprio dove ora si trova il Palacongressi. Inoltre, i numeri di bilancio della capogruppo Rimini Fiera Spa rimangono positivi anche se non molto consistenti, dato che si archivia il 2013 con un preconsuntivo di 35,9 milioni di euro (41,5 milioni il valore della produzione nel 2012) ma soprattutto un utile d’esercizio di appena 320 mila euro (910 mila euro nel 2012).

“Chiudiamo il 2013 con il peggior risultato di sempre, ma usciamo da sei anni di crisi a testa alta. E per il 2014 prevediamo una netta inversione di tendenza con un utile ante imposte di 5,3 milioni di euro, grazie alla riorganizzazione del business con l’incorporazione di alcune partecipate dentro la capogruppo e l’accorpamento di fiere”, assicura Cagnoni. Il quale ha replicato con stizza a chi ha osato, come il parlamentare Ncd-Pdl Sergio Pizzolante, proporre un parallelo tra le vicende dell’aeroporto e quelle della Fiera e del Palas: “Sono solo stupide battute”.

Il numero uno del quartiere sostiene poi che il danno immediato dal fallimento di Aeradria, in esercizio provvisorio almeno fino al prossimo 30 giugno, sia pari a zero dato che da mesi ormai il traffico business non frequenta più il “Fellini”. Traffico business che evidentemente ha interessato poco anche il palacongressi, visti i conti approvati mercoledì dal board di Convention Bureau. Gli ultimi 12 mesi dei congressi si chiudono con un fatturato di 8,2 milioni di euro, non sufficiente ad evitare un saldo finale di bilancio di -700 mila euro cui si aggiungono altri -300 mila euro per altre “componenti straordinarie negative” inserite per prudenza: risultato, un milione di perdita.

A incidere qui sono stati gli annullamenti degli eventi corporate: in tutto 192 cancellazioni (dal primo gennaio al 31 ottobre 2013). Se il crollo secondo il Cda di Convention Bureau “riflette in pieno” il dato raccolto a livello italiano che segna un -9% di manifestazioni con un valore di investimenti complessivo pari a 768 milioni di euro, la cifra più bassa mai registrata dal 2005 a oggi, c’è poco da stare tranquilli.

Proprio in questi giorni, infatti, in una lettera ai soci la Provincia segnala il rischio, “nel rapporto con la società del palazzo” dei congressi, che si aggravi “il livello di stress finanziario di Rimini Fiera, data la complessiva situazione di indebitamento e di riduzione dei margini della gestione della stessa società”. Tra le conseguenze dell’indebitamento avanza sinistra “l’incapacità a mantenere i propri impegni potrebbe portare Unicredit ad avere la maggioranza della compagine societaria”. Illustrando il bilancio delle presenze congressuali in riviera nel 2012, lo stesso Cagnoni aveva detto che sulle royalties, a fronte di una previsione di circa il doppio, “nella migliore delle ipotesi arriveremo a 500mila euro”. Insomma, non ci siamo: è tutto il sistema di finanziamento che ormai non regge più e andrà rivisto. Con quali conseguenze, ancora non si sa. 

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