Ho letto tante frasi – ora diventate citazioni – di Achille Castiglioni, ma questa è quella che mi aiuta di più a pensare alla sua figura senza il timore reverenziale che, inevitabilmente, matura dentro chi studia architettura e, di conseguenza, i suoi progetti. Le sue parole mi aiutano a tirarlo fuori dalle pagine dei libri e a rimetterlo davanti al suo tecnigrafo sorridente, come nella foto. Non solo, è una frase che avrebbe potuto dire mio nonno, che in verità era più anziano e di guerre ne ha vissute due.
Achille Castiglioni: architetto e designer, uno dei fondatori dell’Adi (Associazione per il Disegno Industriale), vincitore di tantissimi premi e con quattordici opere presenti al Moma di New York e molto altro. Queste le note biografiche che possiamo trovare ovunque, ma la sua profonda ironia si comincia a conoscere (e a riconoscere leggendo quelle sue parole) grazie a una visita alla Fondazione Achille Castiglioni guidata dalla figlia Giovanna. Non avevo mai incontrato Giovanna Castiglioni prima di quel sabato mattina in cui sono arrivata un po’ trafelata all’appuntamento che avevo con amici per la visita. In pochi minuti dal mio ingresso il sorriso della nostra guida, gli oggetti che ci circondavano e lo sguardo rapito degli altri partecipanti al gruppo, mi hanno fatto sentire a casa. A casa di una persona simpatica e accogliente, oltre che incredibilmente creativa, colta, intelligente e con uno sguardo democratico sul mondo, anche della progettazione. Mi sono arrivate tutte queste cose, insieme, ascoltando il racconto che Giovanna faceva degli oggetti progettati dal padre. Si guardava intorno, ne sceglieva uno e ci raccontava un aneddoto, un ricordo legato alla fase di ideazione di quell’oggetto.
Il tavolino Comodo è quello che quel giorno mi ha colpito di più, non solo per il prodotto in sé, ma per come ci è stato descritto il momento in cui l’architetto ha cominciato a pensarlo. Potremmo definire Comodo un antenato di ciò che oggi chiamiamo ‘autoproduzione’, più che altro perché Castiglioni l’ha disegnato per sé: in quel momento aveva bisogno di un tavolino da lavoro da tenere accanto al letto, quindi con un sostegno che lo rendesse facile da avvicinare e allontanare, con un piano d’appoggio non troppo ingombrante e, nello stesso tempo, con uno scomparto facile da aprire dove tenere gli strumenti da lavoro. Giovanna, in verità, ci ha confessato che suo padre nascondeva in quello scomparto caramelle e cioccolatini di cui andava ghiotto! Ma non è tutto, anzi: la parte più affascinante del racconto è la spiegazione del sistema usato per l’apertura del contenitore inferiore: osservandola bene, infatti, non può non far venire in mente le vecchie scatole da cucito o le cassette degli attrezzi.
Achille Castiglioni era un attento osservatore, oltre che un collezionista di oggetti secondo lui intelligenti. Ne studiava la struttura, i meccanismi e i materiali, per poi riproporli e interpretarli al momento giusto nei suoi progetti: “Faccio raccolta di oggetti trovati, conservo un po’ di tutto, oggetti anonimi. Li tengo da parte ogni volta che capita un oggetto con una intelligente componente di progettazione.”
Sta per concludersi la visita e Giovanna ci spiega che la Fondazione Achille Castiglioni è nata nel 2011 per volontà degli eredi (con la partecipazione della Fondazione Museo del Design (e con il contributo di alcune aziende con cui aveva collaborato Castiglioni: Alessi, Brionvega, De Padova, Flos, Relco Group) con lo scopo di tutelare e rendere pubblico tutto il materiale che costituisce la concreta testimonianza dell’attività artistica, professionale e umana di Achille Castiglioni. Mantenere viva e attiva questa realtà, però, richiede un impegno notevole, prosegue Giovanna e, mentre parla, un visitatore canadese chiede “E la Città (intesa come Comune) non contribuisce?”. Scattano immediati gli sguardi di intesa tra gli italiani…La Città? Le istituzioni? Il Governo? Niente, nessun contributo, caro turista canadese: welcome to Italy. E soprattutto, benvenuto a Milano, la cosiddetta “città del design”!