Che il commercio stia vivendo una situazione di crisi è un fatto conclamato. Che non si vogliano trovare soluzioni che possano arginare questo aspetto anche.
Partiamo subito con i numeri, una fotografia impietosa consegnataci dall’Osservatorio Confesercenti racconta un’Italia che come prodotti e servizi nella vendita al dettaglio non riesce più a concorrere rispetto ai numeri degli anni passati. Così nel commercio (ma anche nel turismo) si segnalano solo due aperture ogni tre chiusure di aziende, ovvero oltre 60mila cessazioni. Continua il tracollo del segmento moda, con un saldo negativo di oltre cinquemila unità. A soffrire gli esercenti del sud-Italia e quelli del segmento della ristorazione e hotel: nei primi otto mesi, sempre secondo Confesercenti, 50mila imprese hanno chiuso.
Eppure le risposte sarebbero diverse. Quella che genera accese polemiche è proprio l’apertura nei giorni festivi, regolamentata già nel gennaio 2012 con il “Decreto Salva-Italia”. Questa apertura determina ancora oggi una forte levata di scudi, che (paradossalmente, aggiungo) arriva non solo dalla Cei ma anche dalla Confesercenti, entrambe protagoniste della campagna “Liberaladomenica”. In particolare Confesercenti lamenta come dell’apertura domenicale si siano avvantaggiati soprattutto i grandi player. Però la ricerca promossa da Ipsos per conto di Federdistribuzione registra come il 39% dei consumatori faccia acquisti abituali la domenica, e come per il 60% degli intervistati l’apertura nei giorni festivi sia una naturale evoluzione del commercio (qui la ricerca completa).
Penso sia necessario stare aperti nei festivi e comprendere come certi paradigmi siano cambiati, perché di fatto la società sta evolvendo per pratiche di vita e di consumo. Aggiungo che l’apertura festiva e continuativa – nel rispetto delle diverse forme contrattuali, per carità – non solo deve essere praticata e incoraggiata, ma dovrebbe generare forme nuove di vendita, perché da sola non basta. E allora che fare? Allora è bene optare per altre soluzioni: valorizzare il made in Italy, andare online, creare campagne mirate per pubblici sempre più esigenti. “Io vado dal mio macellaio non soltanto perché è sotto casa, ma soprattutto perché mi offre soluzioni”, ha dichiarato, durante un dibattito al festival Glocal di Varese, Dario Di Vico. Le soluzioni possono essere tante e diversificate. Ve ne racconto tre che mi hanno particolarmente colpito ultimamente.
La seconda: a Pordenone una restaurant tv offre pane, acqua e wi-fi gratuito. A pensarla è stato un ex manager del settore della moda, Francesco Vanin. Nella sua restaurant tv chiamata Pnbox ci sono anche gli “studios” dove il pubblico viene intrattenuto, e tutto va poi contestualmente in rete in live streaming. Progetto autofinanziato e realizzato anche valorizzando materiali di riciclo. Già, perché le vecchie lavatrici vengono utilizzate come banconi. “Pnobox fattura intorno ai 500mila euro l’anno tra ristorante e servizi di web tv, e si sta puntando ad allargare la rete commerciale e ad espandersi anche in altre città”, racconta Vanin.
La terza, offrire risposte immediate. Ecco allora la storia della ditta individuale Mulfari, padre e figlio che per promuovere l’attività in crisi legata alla tinteggiatura decidono di abbracciare le nuove tecnologie: con una app dedicata i clienti possono prenotare il servizio e richiedere un preventivo. “Abbiamo capito che sul web ogni giorno qualcuno cerca un imbianchino attraverso i motori di ricerca. Il nostro obiettivo ora è quello di farci trovare”, ha dichiarato Diego Mulfari. Sul blog Diego racconta ai potenziali nuovi clienti brianzoli i lavori eseguiti, attraverso post corredati da fotografie. “La nostra applicazione l’abbiamo chiamata ironicamente I-Imbianchino, con prezzi a mq dei nostri lavori e idee per decorare la casa”.
È il dialogo, la conversazione, il servizio in più, la “soluzione” che potrebbe fare la differenza. Lo capiranno i nostri amati e vessati commercianti italiani?