Oramai è palese: la nostra democrazia è retta da soggetti abusivi. Da impostori.
Il comunicato della Corte costituzionale di ieri intitolato “Incostituzionalità della Legge elettorale n. 270/2005” così recita: “La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza – sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica – alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione. La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza. (…) Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali.”.
Occorre ricordare come la legge 21 dicembre 2005, n. 270 “Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.” sia stata promulgata dall’allora Presidente della Repubblica Ciampi, dal Presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi e vistata dal Guardasigilli Castelli. E’ pur vero come da noi sia assente una forma di controllo preventivo di costituzionalità, avvenendo solo in modo successivo. Infatti nel nostro ordinamento, il controllo di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge è oggetto di sindacato giurisdizionale da parte della Corte costituzionale (ex art. 134, 1° comma), attivato in via principale od in via incidentale.
Eppure il legislatore prima di procedere, soprattutto in materie estremamente delicate, si avvale del parere degli uffici di studi giuridici. E soprattutto il Presidente della Repubblica ha il dovere di vagliare la legge prima di promulgarla. Al riguardo occorre ricordare come vi siano due tesi. La prima tesi, maggioritaria, sostiene che la promulgazione sia un atto dovuto, benché attenuato dalla possibilità il chiedere un rinvio, poiché egli non può rifiutare di procedervi se non sussistano situazioni ostative, quali la presenza nella legge di un vizio di legittimità o relativo al cd. merito costituzionale (V. SICA, La controfirma, Napoli, 1953, 103 e ss.; C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1976, 756; S.M. CICCONETTI, Promulgazione e pubblicazione delle leggi, in Enc. dir., XXXVII, 104 e ss.; S. GALEOTTI, B. PEZZINI, Presidente della Repubblica nella Costituzione italiana, in Dig. Pubbl, XI, Torino, 1996, 466). L’opposta tesi afferma che la promulgazione non sia un atto dovuto e trae spunto proprio da quest’ultimo assunto, poiché se è dovuta laddove ne sussistano i requisiti, ciò equivale a dire anche il contrario, e cioè che in assenza dei suddetti requisiti la promulgazione non sia dovuta (G. D’AMICO, Ripensando al controllo presidenziale sulle legi in sede di promulgazione, in Rass. Parl., 2002, 269). Ci si domanda che facesse Ciampi in un momento così cruciale della democrazia, soggiogata dalla perenne partitocrazia delle larghe intese poi identificatasi nella faccia del Porcellum a firma di Calderoli (ben tratteggiato dalla immensa Oriana Fallaci, come il Joker della politica italiana)?
Otto anni di democrazia abusiva. L’esproprio del diritto di voto, così come ha ben censurato l’avv. Aldo Bozzi, al quale tutti noi dobbiamo riconoscenza.
A ciò aggiungiamo la grande truffa del finanziamento ai Partiti così come da ultimo denunciato dal Procuratore del Lazio della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis, il quale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di tutte le leggi, a partire dal 1997, che hanno reintrodotto il finanziamento pubblico dei partiti. Ricordiamo che il finanziamento pubblico ai partiti, introdotto dalla legge Piccoli n. 195/1974 più volte modificata, sino al referendum (ovviamente abrogativo) promosso dai Radicali nell’aprile 1993, che ha visto il 90,3% dei voti espressi contro il finanziamento pubblico ai partiti, agevolato dallo scandalo di Tangentopoli. Se nonché nel dicembre 1993 il Parlamento ha aggiornato, con la legge n. 515/1993 la preesistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, poi più volte modificata, sino a riproporre di fatto una normativa paritetica a quella sul finanziamento pubblico ai partiti.
Abbiamo dunque un quadro desolante del nostro Stato della Democrazia. Abrogato per legge, usurpato da una banda di manigoldi, i quali meriterebbero di finire sotto processo dinanzi ad una Commissione speciale. Ai quali andrebbero confiscati i beni (come ai mafiosi) per recuperare il maltolto sottratto a milioni di italiani. Senza più speranze e senza futuro.