La posizione di Nichi Vendola nell’indagine barese sull’ospedale Miulli è stata archiviata. L’inchiesta della Procura di Bari ruotava attorno a una delibera di giunta del marzo 2009 con la quale la Regione Puglia accettò una transazione da 45 milioni di euro da liquidare all’ospedale di Acquaviva delle Fonti. Il gip ha disposto l’archiviazione accogliendo le conclusioni della Procura. Sette gli indagati, tra cui il governatore pugliese, due ex assessori alla sanità e un vescovo.
La delibera (poi annullata in autotutela) era il frutto di una transazione curata dall’ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco (poi dimessosi perché coinvolto in un’altra inchiesta) raggiunta nell’ambito di una vertenza tra la Regione e l’ente ecclesiastico Miulli che vantava crediti per 76 milioni per spese sostenute nel periodo 2002-2009 per la costruzione della nuova sede e per prestazioni sanitarie in convenzione. A portare in giunta la delibera per l’approvazione era stato il successore di Tedesco, Tommaso Fiore, lo stesso che poi ne ha deciso nel maggio 2010 l’annullamento in autotutela.
Fiore e Tedesco figurano tra gli indagati per i quali è stata disposta l’archiviazione insieme con mons. Mario Paciello, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti (indagato in qualità di governatore dell’Ente Ecclesiastico Ospedale Miulli), il suo delegato, don Mimmo Laddaga, l’ex funzionario regionale Nicola Messina, e l’ex direttore amministrativo del Miulli, Rocco Palmisano. Agli indagati la Procura contestava, a vario titolo, i reati di peculato, abuso d’ufficio e falso.
Nella delibera del 2010 di annullamento in autotutela della transazione del 2009, la giunta dava mandato all’assessore alle Politiche della Salute “di avviare le procedure per la sottoscrizione di apposito Protocollo di intesa e di procedere, di concerto con l’Ente Ecclesiatico Miulli, alla redazione di un Protocollo di Intesa tra Ministero della Salute, Regione Puglia e il medesimo Ente”.
Dopo il dietrofront della Regione, la richiesta del Miulli era lievitata fino a 236 milioni di euro, che comprendeva anche il ripiano delle passività. La vicenda è quindi finita davanti ai giudici amministrativi che hanno giudicato regolare l’iniziale transazione da 45 milioni di euro per le attrezzature necessarie alla nuova sede, dando ragione alla Giunta regionale sul ripiano delle passività che spetta alla proprietà, essendo una struttura privata seppur convenzionata, e non all’ente pubblico. La notizia dell’inchiesta e del coinvolgimento di Vendola, e degli altri indagati eccellenti, era emersa nell’aprile 2012 quando il gip di Bari aveva fatto notificare avviso di proroga delle indagini. La Procura di Bari (pm Francesco Bretone e Desirèe Digeronimo, quest’ultima domani dovrebbe presentare la sua candidatura a sindaco di Bari) aveva avviato indagini ipotizzando irregolarità nella prima delibera di giunta la cui legittimità è stata nel frattempo sancita anche da una sentenza del Consiglio di Stato.