Aggiornato il 7 dicembre alle 19,00
Matteo Renzi non risponde. Dopo aver parlato di una grande campagna per la scuola, del coinvolgimento dei docenti; dopo aver promesso via Twitter, nel consueto appuntamento settimanale, che avrebbe risposto alle domande del Fatto Quotidiano, il sindaco non ha ancora trovato il tempo per scrivere o far scrivere cinque risposte.
Non mi resta che provare ad ottenere, prima di domenica, un responso da Pippo Civati e Gianni Cuperlo. Gli slogan, a chi sta nel mondo della scuola non servono. Ci aspettiamo solo concretezza da uomini candidati alla segreteria di un partito. E allora ecco le domande fatte a Renzi, rivolte agli altri due candidati.
Primo. Che cosa intende fare rispetto alla formazione (non solo digitale) degli insegnanti? I nostri docenti spesso non sanno usare un tablet, non conoscono l’inglese, non leggono un quotidiano, non conoscono la Costituzione e chiedono “Cos’è un comma?”.
Secondo. Appena un’aula ogni venti in Italia è collegata direttamente con l’Adsl e può quindi supportare lezioni on line. Il nostro Paese è penultimo (Fonte Eu Kids Online) per competenze digitali tra i ragazzi. Dopo di noi vi è solo la Turchia. Dove troverà le risorse per adeguare le infrastrutture digitali per le scuole?
Terzo. L’Italia rischia una multa di 10 milioni di euro dell’Europa per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato nella scuola. 130 mila precari che hanno contratti diversi pur garantendo un servizio indispensabile allo Stato. Come intende risolvere questo problema senza arrampicarsi sui vetri?
Quarto. Si sarà accorto che gli organi collegiali non funzionano. I genitori non sono realmente coinvolti ma vengono usati solo per raccogliere fondi o per dipingere le aule che lo Stato ha abbandonato. Come rottamerà il Dpr 416 del 1974?
Quinto. Evocare la partecipazione degli insegnanti ad una seria riforma è un sogno ma è anche fin troppo facile da dirsi. Con quali strumenti compierà questa consultazione e come farà fronte ad una macchina burocratica che in viale Trastevere, ha più potere del Ministro di turno?
Ps: questi quesiti sono stati inviati alle caselle mail di Pippo Civati e Gianni Cuperlo e via Twitter. Non ci vogliamo abituare ai politici che non rispondono agli elettori. Chiaramente se qualcuno dei tre risponderà pubblicherò la loro lettera.
Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Pippo Civati al post.
Sono ben felice di poter rispondere alle domande puntuali che lei pone sulla scuola. Il dibattito sui contenuti è stato debole. Anche sui temi dell’istruzione. A mio avviso non dipende tanto dalle modalità alla X factor dell’unico confronto televisivo quanto dalla mancanza di centralità che i temi dell’Istruzione e della ricerca rivestono per la politica da molti anni. Anche a sinistra, retorica a parte. Noi abbiamo provato a spostare tutto sui contenuti partendo da un documento che è frutto del contributo di tanti impegnati quotidianamente sui temi che abbiamo toccato a partire dall’istruzione.
Nella nostra mozione abbiamo, infatti, considerato centrale proprio la necessità di una “rivoluzione culturale” che trasformi in priorità dell’agenda l’investimento in istruzione ricerca e sapere.
Veniamo ora alla sua puntuale intervista.
Primo. Che cosa intende fare rispetto alla formazione (non solo digitale) degli insegnanti? I nostri docenti spesso non sanno usare un tablet, non conoscono l’inglese, non leggono un quotidiano, non conoscono la Costituzione e chiedono “Cos’è un comma?”.
In premessa è giusto dire che, sebbene anche nella scuola ci siano purtroppo persone non adeguatamente preparate, va ricordato il difficile e importantissimo lavoro che fanno tutti i giorni con i nostri figli tantissimi insegnanti, in una situazione di scarsità di risorse (-9,4 mld dal 2008 e 150.000 ca posti di lavoro) e, in alcuni casi, di vero e proprio abbandono da parte dello Stato, che pretende ma non dà (vedi ad esempio il registro elettronico). In ogni caso, d’accordo sul fatto che l’investimento sulla formazione del personale è strategico.
La formazione e l’aggiornamento degli insegnanti sono stati totalmente cancellati dagli interventi dei governi da almeno 15 anni, diventando spesso occasione di lucro, come nel caso dei master on line molto costosi rivolti ai precari per dargli punteggio nelle graduatorie. Al contrario, le stagioni di grande innovazione che si sono avute nella scuola, l’introduzione del modulo nella scuola primaria, che fu un vera rivoluzione didattica, o l’autonomia alla fine degli anni ’90 coincisero con investimenti notevoli sulla formazione dei docenti e in alcuni casi con percorsi di aggiornamento obbligatori. Sono convinto che la qualità della scuola dipenda molto più dall’aggiornamento degli insegnanti che non da mode del momento, come l’introduzione massiccia delle LIM (Lavagne multimediali): un docente competente e aggiornato utilizza diversi strumenti didattici, informatici e tradizionali con inventiva, flessibilità e creatività. Penso che i tempi siano maturi per tornare a parlare dell’aggiornamento come aspetto strutturale della profssionalità docente e che si giunta anche l’ora di investire in questo settore.
Non siamo teneri nei confronti del Governo nella mozione ma bisogna riconoscere che nel dl 104 si sia iniziato a invertire la tendenza stanziando 10 mln di euro. Tuttavia, da un lato, bisogna continuare ad andare in questa direzione incrementando le risorse, dall’altro, a differenza di ciò che è stato fatto nel dl 104 non si può in alcun modo legare la formazione degli insegnanti ai risultati dell’Invalsi, non solo per i limiti evidenti di quello strumento (che va rivisto) ma anche perchè la formazione non è e non deve essere erogata e vissuta come un premio o una punizione ma come la normale condizione di chi è impegnato nella peculiare attività lavorativa nella scuola. Anzi dovrebbe essere la normale condizione di ogni attività lavorativa.
Secondo. Appena un’aula ogni venti in Italia è collegata direttamente con l’Adsl e può quindi supportare lezioni on line. Il nostro Paese è penultimo (Fonte Eu Kids Online) per competenze digitali tra i ragazzi. Dopo di noi vi è solo la Turchia. Dove troverà le risorse per adeguare le infrastrutture digitali per le scuole?
Questo fa parte del massiccio lavoro di ristrutturazione e adeguamento (e quindi di cablaggio) di cui le nostre scuole necessitano, innanzitutto per la sicurezza dei bambini e delle bambine dei ragazzi e delle ragazze oltre che del personale tutto, e in secondo luogo perché abbiano – in qualunque parte del paese vivano – tutti gli strumenti utili e necessari all’apprendimento. Anche su questo si sta iniziando ad andare nella giusta direzione: con il dl 101 si è aperta la possibilità per gli enti locali di investire, derogando dai vincoli esistenti, sull’edilizia scolastica. Bisogna continuare in questa direzione, anche perchè, in un momento di crisi e di scarsità di risorse, vanno definite alcune priorità strategiche e la scuola rientra tra queste. Già nel decreto 104 appena convertito in legge dal governo (legge 128 ) sono stati introdotti 15 milioni di euro per il cablaggio delle scuole, e sicuramente le infrastrutture digitali vanno potenziate. Questo è un problema che riguarda tutto il territorio nazionale: l’Italia è il Paese in cui si è scelto il digitale terrestre al posto non della banda larga e questo ha avuto ripercussioni sulla scuola, sulle imprese, sui musei, sulla cultura, sulla pubblica amministrazione e sui rapporti tra cittadino e servizi pubblici. Trovare le risorse è un questione di scelte che la politica opera nell’individuazione delle priorità.
Un’idea utile per reperire di risorse potrebbe venire dalla diffusione dei sistemi operativi open source, che se adottati presso tante amministrazioni pubbliche porterebbero a risparmi grossissimi sui diritti pagati alle grandi multinazionali come microsoft.
Soprattutto però serve che nel bilancio dell’EU gli investimenti in istruzione vengano scorporati dal calcolo del rapporto deficit pil. Senza dimenticare le risorse che potremmo spostare dalla costruzione degli F35 già da subito.
Terzo. L’Italia rischia una multa di 10 milioni di euro dell’Europa per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato nella scuola. 130 mila precari che hanno contratti diversi pur garantendo un servizio indispensabile allo Stato. Come intende risolvere questo problema senza arrampicarsi sui vetri?
Se questo Paese oggi non ha più un futuro a cui guardare, è anche a causa della condizione di precarietà, materiale ed esistenziale, in cui ha relegato soprattutto le nuove generazioni, che invece sono la sua principale risorsa. Per quanto riguarda i precari della scuola, proprio perchè si tratta è un settore prioritario su cui investire, va ripreso e portato a termine il piano triennale di stabilizzazioni avviato durante l’ultimo Governo Prodi, e che poi il Governo Berlusconi ha interrotto. Inoltre, per fare questa operazione va introdotto l’organico funzionale, che garantisce alle scuole possibilità di programmazione, continuità didattica e stabilità almeno triennale dell’organico. Bisogna dare un risposta al personale che da anni consente alla scuola di funzionare e contemporaneamente consenta di avere organici adeguati ad una scuola di qualità. Per non stabilizzare e tagliare 130.000 lavoratori della scuola da Gelmini in poi si sono fatte classi pollaio, tagli al sostegno ai diversamente abili, riduzione di insegnamenti importanti . Dal 2009 nei professionali per il turismo sono state tolte le ore di storia dell’arte, questa è la follia di tagli che hanno massacrato scuola e precari insieme. Studi di settore come il “ piano centomila” della Flc Cgil dimostrano che si può stabilizzare, senza costi aggiuntivi per lo stato, è una questione di prospettive: investire sul lavoro stabile perchè si crede nella scuola pubblica. Peraltro prendendo atto delle reali necessità della scuola, anche in ragione dei tantissimi pensionamenti dei prossimi anni, non solo finalmente si potranno assumere i precari ma anche nuovi insegnanti senza innescare inutili conflitti generalmente orchestrati ad hoc.
Quarto. Si sarà accorto che gli organi collegiali non funzionano. I genitori non sono realmente coinvolti ma vengono usati solo per raccogliere fondi o per dipingere le aule che lo Stato ha abbandonato. Come rottamerà il Dpr 416 del 1974 ?
Innanzitutto va ricordato che grazie al PD non è stata approvata, durante il Governo Berlusconi e poi durante l’ultimo Governo Monti, la cosiddetta riforma Aprea, che riduceva drasticamente le possibilità di partecipazione di studenti e genitori e l’autonomia scolastica, disegnando una scuola meno democratica, in cui i finanziatori privati pesavano più degli stessi docenti nelle scelte didattiche. La riforma degli organi collegiali, in chiave di una loro rivitalizzazione, va però fatta ed è urgente, e su questo come pd abbiamo già un progetto costruito tramite il confronto con le OS e con tutte le principali associazioni, anche studentesche di rappresentanza sociale. Da lì dobbiamo partire. Gli organi collegiali si rivitalizzano incentivando la partecipazione non deprimendola.
Quinto. Evocare la partecipazione degli insegnanti ad una seria riforma è un sogno ma è anche fin troppo facile da dirsi. Con quali strumenti compierà questa consultazione e come farà fronte ad una macchina burocratica che in viale Trastevere, ha più potere del Ministro di turno?
Forse lei scambia il ruolo del segretario del partito con quello del premier. Certo avendo inviato le domande a Renzi la confusione di ruoli è scontata.
Da segretario del partito democratico per prima cosa rafforzerò il rapporto con i movimenti degli studenti e dei genitori oltre al confronto con le organizzazioni sindacali tutte proponendo una discussione pubblica sullo stato della scuola italiana. Nella nostra mozione ci sono precise proposte che diventeranno l’agenda del partito ma prima andranno confrontate con chi nella scuola lavora e studia. La macchina burocratica di Viale Trastevere, come la chiama lei, deve essere trasformata in uno strumento a servizio delle scuole dell’autonomia messe finalmente in condizione di operare sulla base di un piano straordinario di investimenti nella scuola pubblica.