Siamo arrivati in Thailandia al momento giusto; o forse no. Sulla metropolitana che dall’aeroporto ci porta al centro di Bangkok cerchiamo tracce degli eventi che hanno fatto il giro del mondo in questi giorni. Le manifestazioni e le occupazioni contro il governo di Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin, ex premier in esilio, il magnate che gli oppositori chiamano con disprezzo “il Berlusconi thai”. Gli scontri violenti con le “camicie rosse”, che invece sostengono Shinawatra, in seguito ai quali è stato spiccato un mandato per insurrezione contro il leader della protesta, Suthep Thaugsuban.
A prima vista tutto appare immerso nella sorridente normalità di questo paese che studia da paradiso in terra con ottimi voti: più 18,9 per cento il Pil, nel quarto trimestre 2012. Un passeggero ci rassicura. Migliaia di thailandesi si sono messi in viaggio verso la residenza del Re per festeggiare il suo 86simo compleanno, e questo ha improvvisamente riportato la calma anche nella capitale. Di sicuro, i turisti non sono partiti, anzi. Arrivati in centro, nella zona dei grandi alberghi e delle shopping mall, gli artefici del miracolo economico li abbiamo visti crescere, moltiplicarsi e diversificarsi. Per le strade intasate di traffico e per i marciapiedi sempre troppo stretti echeggiano frammenti di tutte le lingue, italiano compreso. Nessuno sembra preoccupato, e forse nemmeno informato. Più interessante sapere quanto si può risparmiare su uno smartphone che come evolvono le proteste.
La Thailandia ha scelto di diventare la patria della fusion, dove l’incontro tra Oriente e Occidente è possibile con reciproco vantaggio. Ma il paradosso è che questa immagine paradisiaca poggia su un equilibro interno assai complesso e precario. Le turbolenze che ricorrono con puntualità devono conciliare tre elementi apparentemente inconciliabili in natura: la democratica volontà del popolo, la venerazione quasi teocratica per il Re, garante dell’unità nazionale, e il pugno di ferro dell’esercito che, da un colpo di Stato all’altro, è stato sempre l’ago della bilancia.
Si procede a passo d’uomo. Appena fuori dalle rotte turistiche, ecco i posti di blocco della polizia, strade sbarrate ai veicoli e in qualche caso anche ai pedoni. Il battello ha interrotto il servizio, anche se c’è chi sembra non curarsene e se la gode con vera voluttà thai (foto 2).
Nel Soi Cowboy minorenni in pantaloncini prendono per mano i farang e li accompagnano dentro i bar dove colleghe appena più grandi ballano intorno al palo. La folla, se possibile, è ancora aumentata, a riprova che il sesso è come l’equatore, ha una stagione sola. Al posto delle famiglie ci sono i gruppi di maschi adulti, soprattutto giapponesi, rumorose comitive di giovani russi, mentre gli occidentali più spesso sono soli, e naturalmente la solitudine aumenta con l’età.
Si crede che il turismo sia la tomba del viaggiatore, e molto spesso è vero. Qui, no. Si comincia turisti, e non si sa dove si può finire. Sposati con una devota moglie thai; oppure semplici residenti per l’ultima stagione della vita. Osborne non ha dubbi; Bangkok è il posto migliore per andare alla deriva come meglio si crede, senza che nessuno si prenda la briga di giudicarti. In più, lo straniero è sacro, come le vacche in India, anche se la guerra civile o il colpo di stato sono dietro l’angolo. Per il bicchiere della staffa chiediamo consiglio a un connazionale che sembra molto preparato sul Soi Cowboy: “Andate nel bar dei lady boys, sono una spanna sopra gli altri, Marrazzo sì che aveva capito tutto. Un whisky costa 200 bath, è tutto ghiaccio ma non importa, vi assicuro che ne vale la pena. Anzi, sapete che c’è? Vi accompagno”.
(26-continua)