“Votatemi e fate campagna elettorale per me, altrimenti vi caccio dalla giunta”. Così nel 2010, secondo il pm l'allora sindaco di Monteforte irpino Sergio Nappi avrebbe "estorto" il sostegno per la rielezione. Punendo i 'traditori' che non lo avrebbero aiutato abbastanza
Il lemma dell’articolo 294 del codice penale si chiama “Attentati contro i diritti politici del cittadino”. L’articolo dice: “Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. I casi di inchieste per questo reato si contano sulle dita. Uno di questi ad Avellino. L’indagato si chiama Sergio Nappi ed è un nome di discreto peso nella politica campana: è consigliere regionale e capogruppo del Mir, un mattoncino dell’edificio della maggioranza di centrodestra che sostiene il Governatore Pdl Stefano Caldoro. Nappi ha già i suoi guai per l’inchiesta sui rimborsi facili in Regione Campania: è uno dei pochi indagati del pm di Napoli Giancarlo Novelli che abbiano dovuto subire un provvedimento cautelare, gli arresti domiciliari, poi revocati.
La Procura avellinese accusa invece Nappi di concussione e del “294” perché nel 2010, da sindaco in carica di Monteforte Irpino e da candidato alle regionali nella lista ‘Noi Sud’ in cui poi è risultato eletto con 5318 preferenze (appena 213 in più del primo escluso), disse ai suoi assessori più o meno questo: “Votatemi e fate campagna elettorale per me, altrimenti vi caccio dalla giunta”. Tre assessori, Paola Valentino, Antonio Aurigemma e Vincenzo Carullo, non si piegarono al ricatto. Una volta eletto in Regione Nappi li definì “traditori” e prima di optare per il seggio del Centro Direzionale di Napoli – le cariche di sindaco e consigliere regionale sono incompatibili – gli revocò l’incarico.
Nei giorni scorsi il procuratore capo Rosario Cantelmo e il sostituto Elia Taddeo hanno firmato l’avviso concluse indagini, preludio di una probabile richiesta di rinvio a giudizio, al termine di un’indagine nata con le tre denunce degli assessori defenestrati presso la locale stazione dei Carabinieri. Denunce precise, univoche e circostanziate. Ribadite nel corso di una seconda deposizione davanti al pm.
Secondo l’ipotesi di reato notificata a Nappi “l’attentato ai diritti politici del cittadino” si sarebbe perfezionato con la cacciata degli assessori e ne sarebbero vittime, oltre ai diretti interessati, anche i cittadini da loro politicamente rappresentati nell’istituzione comunale. Non c’è giurisprudenza in materia e la dottrina non è univoca, solo un eventuale dibattimento chiarirà il punto.
Peraltro, i precedenti di “294” sono davvero pochi. Uno risale al 1993, nel pieno della Tangentopoli napoletana, e nacque grazie alle rivelazioni del democristiano Alfredo Vito, mister centomila preferenze. Nelle confessioni rese prima di chiedere e ottenere un patteggiamento tombale, Vito raccontò ai pm partenopei anche la prassi dei ‘capibastone’ locali del Pentapartito di collegarsi telefonicamente in diretta coi rispettivi capigruppo comunali all’interno della Sala consiliare di Napoli. Quando c’era da votare un provvedimento importante, come il bilancio, bisognava aspettare l’input da Roma. E se il leader di riferimento ordinava di votare sì, il capogruppo correva a dettare la linea ai propri consiglieri: “Ragazzi ci hanno detto che bisogna votare sì e se qualcuno non è d’accordo e non si adegua, sappia che il partito non lo candiderà più”.