Potrebbe andare a processo la storica segretaria di Pierluigi Bersani, Zoia Veronesi, da quasi 20 anni a fianco dell’ex segretario del Partito democratico. La procura di Bologna ha infatti chiesto per lei e per l’ex capo di gabinetto della giunta regionale dell’Emilia Romagna, Bruno Solaroli, il rinvio a giudizio. L’assistente dell’ex candidato premier è accusata dal pubblico ministero Giuseppe Di Giorgio di truffa aggravata. Per l’accusa, grazie a una firma di Solaroli, la funzionaria avrebbe lavorato per Bersani al partito, pagata però con i soldi della Regione, per un totale di circa 140 mila euro dal 2008 al 2010. In quell’anno, allo scoppiare dello scandalo sulla stampa, era stata assunta direttamente a lavorare al partito.
L’inchiesta che ha visto coinvolti Veronesi e Solaroli, e che non ha risparmiato la sede nazionale del Pd che fu sottoposta a un blitz della Guardia di finanza, era infatti partita proprio nel 2010 da un esposto dall’allora senatore di Futuro e Libertà, Enzo Raisi, e dal consigliere comunale Michele Facci del Popolo della libertà. Veronesi, che era dipendente della Regione fino al 28 gennaio 2010, era stata distaccata con un provvedimento dello stesso ente a Roma, dove avrebbe dovuto intrattenere i rapporti con le “istituzioni centrali e con il Parlamento”. Ma prove di quel lavoro non se ne erano trovate. Per l’accusa dunque Veronesi avrebbe lavorato per altri, ma a spese dell’Emilia Romagna.
La posizione contrattuale con la quale la donna fu inviata nella capitale venne istituita dalla Regione (a firma del capo di gabinetto Solaroli) nel maggio 2008, poco dopo la caduta del governo Prodi 2. Durante l’esperienza del Professore a Palazzo Chigi tra il 2006 e il 2008, Veronesi prese una aspettativa dalla Regione e a Roma fu segretaria di Bersani, ministro dello Sviluppo economico.
Nell’esposto di Raisi che ha dato il via all’inchiesta si chiedeva se “è solo una coincidenza il fatto che la Regione abbia istituito una nuova posizione dirigenziale nel maggio 2008, cioè subito dopo la formazione e il cambio del nuovo governo nazionale per permettere alla signora Veronesi di rimanere a Roma, anche dopo il venire meno dell’incarico al ministero?”. Un’accusa pesante: quella cioè di aver creato un posto da dirigente professional, peraltro strapagato, per fare in modo che Veronesi continuasse a rimanere a Roma e a svolgere l’attività di segretaria dell’ex ministro Bersani. Non solo. Quando Zoia Veronesi si dimise dall’incarico in Regione per andare alle dipendenze del nuovo segretario Pd Bersani nel 2010, lei non venne mai sostituita in quel ruolo, che rimase scoperto.
Uno stralcio della stessa inchiesta intanto è al vaglio della Procura di Roma e lambisce lo stesso Pierluigi Bersani. I magistrati bolognesi si erano infatti imbattuti in un conto corrente co-intestato a Veronesi e all’ex segretario Pd che aveva registrato degli strani movimenti di denaro. Per questo motivo a settembre il fascicolo (senza indagati) era partito dall’Emilia alla Capitale, per competenza territoriale.