Inflitti a migliaia di manifestanti, rappresentano uno dei punti più controversi della nuova Costituzione egiziana che andrà a referendum entro la seconda metà di gennaio. Sono i processi militari per i civili, introdotti nell’articolo 204 del documento in caso di “attacco diretto a personale militare o edifici dell’esercito”. “Dal punto di vista tecnico il nuovo articolo potrebbe circoscrivere l’utilizzo dei processi militari a determinati reati e quindi limitarne l’utilizzo”, spiega Gianluca Parolin, docente di diritto comparato all’AUC, American University of Cairo.
L’Egitto non è l’unico Paese al mondo a prevedere nella propria Costituzione i processi ma il pericolo per la tutela dei diritti umani e libertà individuale che questa norma potrebbe provocare arriva dal contesto politico del Paese e dall’enorme potere in mano all’esercito. I processi militari, infatti, sono stati ampiamente usati dal governo guidato dall’esercito dalla caduta di Mubarak nel 2011 sino al governo di Mohamed Morsi. Uno strumento utilizzato per reprimere le proteste e infliggere pene severe contro attivisti e manifestanti. “Hanno quasi sempre colpito cittadini egiziani di classe sociale medio bassa – afferma Ragia Omran, rappresentante del movimento No military trials. “Il tribunale militare dopo la rivoluzione ha costituito una strategia per terrorizzare la popolazione perché ogni volta chiunque, durante una manifestazione, poteva essere preso, detenuto per un tempo illimitato e senza assistenza legale”.
Il movimento No military trials nacque nell’ottobre del 2011, da allora decine di migliaia di manifestanti vennero detenuti e processati in tribunali militari. Diversi sono ancora in carcere assistiti legalmente da gruppi di avvocati volontari. Sotto il presidente Morsi, la pratica venne limitata ma i processi già avviati non sono stati mai sospesi o annullati. La decisione di inserire l’articolo 204 va nettamente contro le richieste dei movimenti rivoluzionari che avevano chiesto a riguardo di mantenere gli articoli della precedente costituzione del 2012. Quest’ultima, infatti, nonostante fosse stata approvata forzatamente dal governo islamista del deposto presidente Morsi, conteneva due articoli con una formulazione più clemente sull’applicazione della corte marziale.
Il numero 198 proibiva i processi militari, permessi solo “nel caso di danneggiamento verso le forze armate.” Inoltre, l’articolo 75 garantiva “i processi in un tribunale civile a tutti i cittadini egiziani” e rendeva incostituzionali tutti i processi speciali. Ora, con il ritorno del governo guidato dai militari lo scorso luglio, la politica repressiva si è intensificata. Per esempio, la nuova legge che regola le proteste ha portato per l’ennesima volta a diversi arresti, tra cui quello dell’attivista Alaa Abdel Fattah e del fondatore del movimento 6 aprile Ahmed Maher.
Episodi che stridono con la macchina del consenso costruita dall’esercito che da mesi continua a fare leva sui valori della rivoluzione del 25 gennaio 2011 e soprattutto sulla grande manifestazione del 30 giugno 2013 che diede il via alla deposizione del presidente Morsi. Ma dei valori della rivoluzione nel documento c’è ben poco. “Questa Costituzione è l’ennesima occasione mancata di portare il sistema egiziano ai livelli dei Paesi democratici – spiega Zaid Al-Ali, costituzionalista dell’International Institute for Democracy and Electoral Assistance. “Il documento rimuove gli elementi filo islamici della precedente versione ma aumenta esponenzialmente il potere dei militari. Siamo tornati a un testo molto simile a quello approvato nel 1971 sotto la dittatura di Sadat”.