Da 24 ore in Italia s’è aperto un varco. Di più, s’è rotto il vaso di Pandora. E ora rischia di travolgere tutto, dal Parlamento ai “parlamentini”. Dopo la sentenza della Consulta che ieri ha impallinato il Porcellum le facce scure non sono solo a Roma, dove 945 deputati e senatori si son svegliati con una patente d’illegittimità in tasca per esser stati eletti tutti, alcuni ben tre volte, con una legge ora dichiarata incostituzionale. Anche i 20 presidenti e i mille consiglieri eletti nelle Regioni d’Italia hanno qualche ragione per preoccuparsi. E stavolta non per i rimborsi. Perché la sentenza della Corte potrebbe avere effetti indiretti anche sulle assemblee regionali, col rischio di travolgerle una dopo l’altra. Magari a partire dalla Lombardia, dove un ricorso sulla legge elettorale riformata nel 2012 pende proprio davanti alla Corte costituzionale che – con ogni probabilità – non smentirà se stessa. E la Lombardia potrebbe presto essere in buona compagnia, perché anche governatori e consiglieri delle assemblee regionali sono stati eletti dai cittadini con un sistema elettorale che prevede premio di maggioranza e (in alcune) listino bloccato senza preferenze, esattamente come il Porcellum.
Che il problema esista e potrà presto materializzarsi come un incubo (o una liberazione) in tutta Italia lo conferma Andrea Morrone, il costituzionalista che seguì il comitato referendario per l’abrogazione (bocciato alcuni mesi fa dalla Corte). “Anche a livello regionale potrebbero configurarsi profili di incostituzionalità analoghi che il precedente della Corte sul Porcellum può a questo punto rafforzare rappresentandoli come argomento da utilizzare in altre situazioni”. E quindi da domani l’avvocato Bozzi di turno che si svegliasse col piede storto potrebbe far crollare più d’una certezza al secondo piano del potere politico-amministrativo del Paese. Ragioniamo in astratto, dice Morrone. “Se il teorema ha come premessa maggiore che un sistema elettorale a liste bloccate che non prevede una preferenza è illegittimo perché incostituzionale ne discende che tutte le leggi elettorali che non prevedono la possibilità di esprimerla sono altrettanto illegittime”.
Che ci possa essere un effetto a catena è dunque possibile, ma dove e come? Lo spiega a ilfattoquotidiano.it Antonio Agosta, docente di Scienza politica a RomaTre e per vent’anni direttore dell’ufficio elettorale del ministero dell’Interno, oltre che ex presidente della Società di studi elettorali. “La sentenza è come un fiume che rischia di arrivare a valle travolgendo tutte le regioni”, spiega. Perché? “Perché la Corte ha bocciato un sistema elettorale che non prevede preferenze e il maggioritario senza soglia. E tutte le regioni hanno il sistema maggioritario, alcune come la Toscana non hanno le preferenze. Tanto che Calderoli si difese dagli attacchi a sinistra sostenendo che si era ispirato a quella regione governata appunto dalla sinistra”. Ma il vero problema è il maggioritario senza soglia. “La legge elettorale regionale standard, quella del 1995 che le regioni hanno adattato in parte, prevede un premio al presidente eletto che dispone di una maggioranza del 55% esattamente.
come il Porcellum alla Camera, o del 60%. E da cosa dipende? Dal livello dei suoi consensi elettorali nell’intera regione: se sul suo nome o sul listino del presidente si è realizzato almeno il 40% di volti il presidente allarga la sua maggioranza e arriva a quella del 60%, se viceversa vince con meno del 40% si accontenta del 55%”. Ma il meno non è definito, può voler dire il 10, il 5 o anche il 2%. “Comunque chi arriva primo prende almeno il 55% e questo per la Corte è illegittimo almeno quanto lo è secondo la sentenza che ha appena impallinato il Porcellum. E dunque, in linea di principio, non può che esserlo per le Regioni”.
Per semplificare la Corte ha bocciato la legge nazionale stabilendo che se c’è un premio si altera la giustizia elettorale e se non ci sono le preferenze si mortifica l’elettore. “E a questo punto da ogni città d’Italia potrebbe scattare un ricorso al Tar nella speranza che il giudice di merito rinvii la questione alla Corte costituzionale, così come accaduto con il Porcellum”. E a quel punto, ragiona il professore, “la Corte si troverà di fronte al dilemma di smentire una propria sentenza precedente o di uniformarsi e renderla così giurisprudenza. Un terremoto”.