Si fa stringente l’assedio patrimoniale contro la potente mafia siciliana di Matteo Messina Denaro, e i soldi al boss, super ricercato da 20 anni, magistratura e forze dell’ordine continuano ad andare a prenderli fin dentro casa sua, a Castelvetrano. Due distinte operazioni di sequestro di beni sono state condotte nelle ultime 48 ore dal Ros e dal Gico a Palermo e dalla divisione anticrimine della Polizia a Trapani. Da una parte è stato colpito uno dei gruppi commerciali più in vista della Sicilia, il gruppo Niceta, dei fratelli Massimo, Piero e Olimpia: il loro “portafoglio” fatto di aziende, negozi, società, partecipazioni di vario genere, un totale di 50 milioni di euro è finito sotto sequestro. Nel trapanese colpiti da un altro sequestro i nipoti di Matteo Messina Denaro, Francesco e Maria Guttadauro, figli di Filippo e di Rosalia Messina Denaro.
Proprietari di negozi (targati Niceta) dentro i centri commerciali Belicittà di Castelvetrano e La Fontana di Borgetto. Valore 1 milione di euro. La cosca di Messina Denaro, insomma, scavalca anche i confini geografici delle province siciliane. Matteo Messina Denaro e il cognato Filippo Guttadauro sono assieme i capi delle cosche di Trapani e di Brancaccio a Palermo, uno spazio disseminato da casseforti, come quella dei Niceta. Non è la prima volta che il loro nome emerge dalle indagini antimafia. Per primo ci provò a incastrarli l’allora procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato, con le accuse dei pentiti Grigoli, Cannella e Siino contro il capostipite dell’azienda, Mario Niceta, imprenditore del cemento prima e del commercio dopo. Poi nel 2009 gli avvisi di garanzia per favoreggiamento ai figli di Mario Niceta nell’ambito del blitz Golem. I Niceta avevano recitato la parte dei taglieggiati, ma con i Messina Denaro c’era tanta familiarità, tanto che Filippo Guattadauro mandava loro pizzini di auguri. E Matteo Messina Denaro li proteggeva: con un pizzino mandò a ringraziare i boss Lo Piccolo “per essersi interessati della faccenda del suo amico Massimo n…con lui non ho potuto parlare in quanto è fuori per le ferie sono comunque certo che non avrà difficoltà a farle i due favori che lei gli chiede sarà mia cura informarlo appena possibile”.
In una conversazione intercettata nel 2000 presso il carcere dell’Ucciardone dove era recluso il boss di Bagheria Giuseppe Guttadauro fratello di Filippo, Francesco Guttadauro riferiva al padre che il “figlioccio” Massimo Niceta era andato a trovarlo per “chiedergli una cortesia” perché qualcuno aveva chiesto il pizzo per il nuovo negozio di abbigliamento di Palermo, di Corso Finocchiaro Aprile. Allora Giuseppe Guttadauro consigliò al figlio: “Gli dici, per ora chiudetelo come vuoi, poi quando esce lui se ne parla”. Ci sarebbero stati anche contrasti tra i cugini Guttadauro, ma le intercettazioni hanno tradito che era segnato che la meglio, anche nei rapporti con i Niceta, dovevano averla i figli di Filippo, “perché nipoti di Messina Denaro”.
L’indagine sui Niceta ha fatto emergere anche episodi del passato, come l’omicidio avvenuto nel 1985 a Mondello dell’imprenditore Roberto Parisi, ex presidente del Palermo calcio. Non fu un delitto per vicende palermitane. I mandanti sarebbero stati i mafiosi trapanesi, Virga e Messina Denaro. Il racconto è tra i verbali di interrogatorio di Massimo Ciancimino. Quando fu ucciso Parisi, uno dei suoi soci, Pierluigi Matta, si rivolse a Vito Ciancimino (che era in carcere) attraverso i suoi figli per sapere se il delitto avesse a che vedere con l’appalto da loro gestito per la pubblica illuminazione di Palermo. Vito Ciancimino fece sapere che la matrice era altra, portava a Marsala, ad un impianto di itticoltura che «Icemare», società dove c’entrava Parisi, gestiva sull’«Isola Grande» dello Stagnone. Saline e potere, qui mafia, politica e impresa storicamente si incontrano. Roberto Parisi aveva come socio nella Icemare Mario Niceta, tra i due ci fu un contrasto. Parisi non sapeva che Niceta però dalla sua parte aveva già da allora il patriarca della mafia belicina, don Ciccio Messina Denaro. La sua resistenza gli costò cara.