Cinquantadue anni oggi. Ventuno in televisione: “Se devo dire che mi ha fatto umanamente bene non lo so. Trascorri il tempo in una scatola, in una dimensione alterata che ti chiude tra quattro mura e la tua vita è esattamente ciò che fai. Tutto quello che non è tv per me ha a che fare con la casa. Se mi togli dal guscio soffro, fatico e non vedo l’ora di tornare”. L’avvocato Maria De Filippi da Pavia entrò nel tubo in data 1992. Leggere attentamente le avvertenze non le è servito a guarire, crearsi antidoti, trovare vie di uscita.
Tra l’appartamento romano e l’ufficio che della legge Sirchia si è burlato a tempo debito, poco meno di 200 metri. Oltre la porta, su un divano circondato da manifesti di cani, vecchie insegne postali, sigarette e foto in cui Dodone, suo padre Giovanni, missino convinto “rappresentante di medicinali, proprietario di un’azienda agricola e devoto almirantiano” guida macchine sportive e sorride in un indefinito Oltrepo, parla una ragazza bionda. Non ha ombre di trucco e indossa un paio di jeans. Si tende in avanti, ride, incrocia le braccia. È diretta, assertiva, dubbiosa, contraddittoria. È rimasta la stessa che titubava nel suo primo studio tv a due passi dal Colosseo, mentre intorno a lei, insieme a lei, è cambiato tutto. Ora la trattano da monumento.
All’epoca di Amici, la trasmissione immaginata ai margini di un “addestramento” tenuto dal marito Maurizio Costanzo a qualche dirigente Fiat: “Cercavano di lanciare un modello d’auto per i giovani e mi venne in mente che un programma che ne descrivesse i turbamenti non esisteva”, Maria non era ancora l’impressionante portaerei dell’ascolto su cui critici, esegeti e perdigiorno si sarebbero esercitati animando dibattiti , scrivendo per nutrire o estirpare la mala pianta, comunque deforestando per arrivare alla radice del fenomeno. L’indagine su una conduttrice sfiorata da qualche sospetto ha riempito faldoni, creato partiti, crocifisso tronisti e restituito lezioni più tenaci dei rimpianti: “Gli errori che ho fatto mi sono serviti tutti. Nel ’98 ero in un momento di presunzione assoluta. Venivo dai successi di Amici e Amici di sera. Volevo fare qualcosa da sola e convinta fosse la migliore trasmissione che avessi mai ideato, inventai Missione impossibile”. Tredici per cento: “La mattina successiva alla messa in onda, controllando lo share, non ci volevo credere. Un dato inconcepibile. Un fallimento. Mi sentivo bravissima, avevo la scienza infusa e rifiutando la presenza di altri autori e quindi della discussione, toppai. Per capire che mi ero comportata da pirla ci vollero giorni”. Svanita la rabbia: “Quando sbaglio – ed è capitato – me la prendo molto e sempre con me stessa per non aver saputo prevenire l’errore”.
Maria De Filippi andò a parlarne ad Alberto Silvestri, padre del cantautore Daniele, dello Yuppi Du di Celentano e del Costanzo Show. Un uomo altissimo e canuto: “Feci il mio bel bagno di umiltà e ripartii”. Con l’atavica paura del volo: “Credo appartenga al timore di tornare e trovare le cose irrimediabilmente cambiate, all’angoscia della perdita, al bisogno di trovarmi comunque a tre ore dal mio centro” e la pacificata consapevolezza dei confini: “Con gli anni invece di diminuire questo sgomento cresce e non si contiene. Dovrei andare in analisi, ma preferisco rinunciare al lettino, rimandare la gita a New York a un’altra esistenza e accontentarmi di due settimane invernali in montagna. Per come sono fatta il Trentino equivale all’Himalaya”.
Maria ha intrapreso viaggi di altro tipo e tirato il sipario sul presente. Incontri ravvicinati tra parenti perduti, conquiste amorose, scuole di talenti, palchi sanremesi, politici in territorio alieno, premi Oscar e piazzate napoletane che hanno consumato il telecomando di decine di milioni di persone, fatto esultare Carlo Freccero: “È il mio Censis. Se la vedo capisco cos’è l’Italia. E del paese arretrato e disperato, lontanissimo dalla Bocconi, De Filippi radiografa le miserie con rara perizia” e spinto su terreni al limite della satira involontaria docenti come Alessandro Panarari che alla Bocconi sono benvenuti: “Un’alchimia sociale in grado di prevedere un po’ meno ‘Maria’ e un po’ più Mario (Monti) darebbe agli italiani parecchio giovamento”.
De Filippi, lei ha diviso.
Ma ho anche unito e realizzato il sogno di dare voce a chi non l’aveva. Dirlo fa un po’ impressione, ma con me è cresciuta più di una generazione. Poi c’è la cosiddetta intellighenzia che finge che il mondo che racconto non esiste e magari si stupisce di non avere nessun contatto con la realtà e il suo linguaggio. Nei miei anni di tv non c’è stato niente di scientifico. Mi attribuiscono calcoli e intenzioni, ma la verità è che ho fatto vedere solo quello che mi incuriosiva. Anche se a dirlo in questo modo rischio di sembrare molto poco intelligente, che poi può darsi pure che sia vero, è andata proprio così.
Sua madre sosteneva una tesi simile: “Non è totalmente deficiente, ma nemmeno troppo intelligente”.
Insegnava latino, greco e italiano, molto severa, con due figli. Mio fratello corrispondeva esattamente al suo ideale di erede. Un coscienzioso studente del classico che non avrebbe mai copiato in vita sua. Poi c’ero io. Un mondo a parte. Una che Platone, secondo lei, non poteva affrontarlo: “Non hai il carattere”. Ci eravamo trasferiti da poco a Pavia e mia madre mi iscrisse di forza al Torquato Taramelli, lo scientifico. Alla vigilia scoprì con orrore che mi avevano messo nella famigerata “I”. Una sezione praticamente autogestita. Ribaltò il tavolo. Finii al classico anch’io e a copiare, tema della maturità compreso, imparai in fretta.
All’Università scelse Giurisprudenza.
Volevo fare Medicina. Mi spaventai per il numero degli esami e ripiegai. Ma all’Università, forse perché finalmente era una scelta mia e non di mia madre, sono stata una secchiona.
110 e lode. Un primo lavoro legale all’Univideo. Un convegno al Festival di Venezia. L’incontro con Costanzo.
Non ricordo se a casa avessi il Brionvega arancione, ma col mezzo il rapporto era serio, distaccato, meno intenso che con la radio. Non ho mai pensato che avrei lavorato in tv neanche quando conobbi Maurizio. Al princìpio di Amici stavo dietro le quinte e non mi sarei mai sognata di condurlo. Poi Lella Costa andò in maternità, organizzammo dei provini per sostituirla e ci accorgemmo che nessuno si relazionava ai ragazzi come individui. Li trattavano come un gruppone indistinto. La categoria dei giovani. A quel punto decisero di mandarmi in onda, ma rappresentavo un’anomalia e non corrispondevo in alcun modo all’immagine di Canale 5. Secondo i dirigenti non avevo la fisionomia adatta e ci fu un po’ di burrasca. Maurizio venne dissuaso: “Sei impazzito? Non porta neanche gli orecchini”. Tenne duro.
E allora si alzò il coro: “È solo una raccomandata, non durerà”.
Ma io sono testarda e costante. Poi certo, le cattiverie si sprecavano. Dovevo dimostrare di meritare l’occasione due volte. Sabelli Fioretti fece un’intervista doppia a me e a Simonetta Martone, all’epoca compagna di Santoro. Mi presentai con spirito ingenuo. “L’ha raccomandata Costanzo?”. Ammisi senza opporre resistenza . Sabelli pose la medesima domanda a Simonetta e lei negò sdegnosamente. Con il giornale aperto mi ripetevo: “Ma vuoi vedere che ho fatto una grossa cazzata?”.
Era ancora una ragazza di provincia?
In provincia non avere niente di prestabilito è complicato. Esisti e sei qualcuno in virtù del lavoro di tuo padre, del 740, della zona in cui vivi. Ti sposi, fai dei figli, ti metti la pelliccia e il sabato fai lo struscio sul corso. Io non c’entravo niente, del denaro allora come oggi mi importava zero, ma provai comunque invano ad adeguarmi. Tentai, ma proprio non riuscii.
Si allontanò da Pavia trovando una sua autonomia. Le è poi accaduto anche con Costanzo. Per affrancarsi c’è voluto tempo?
Non ho mai voluto. Non avrebbe avuto senso. Sarebbe suonato come l’annuncio di una ridicola competizione. Da Maurizio ho preso tantissime cose, ma rimane un miraggio. Non farò trasmissioni importanti come le sue, anche se è chiaro che le passioni in comune ci hanno aiutati a rimanere insieme. Se avessi fatto un altro mestiere ci saremmo separati dopo 20 giorni. Se lo avessi trovato torvo per una critica, gli avrei dato del pazzo sbattendo la porta. Invece condividiamo una sfera in cui le domeniche sono un’astrazione e l’autoreferenzialità un obbligo. Ci siamo trovati. Capiti. Abbiamo sviluppato gli anticorpi.
Ha smesso di pensare all’attentato del ’93 in via Fauro?
Sì, da una decina d’anni. Una paura così non l’ho mai provata. Maurizio era pazzo di gioia perché era sopravvissuto e io lo guardavo basita: “Ma tu hai capito che può riaccadere?”. Lui ringraziava il cielo di essere vivo e invece io pensavo “possiamo morire domani”. Per eliminare il terrore c’è voluto tempo.
Dal tritolo vi salvaste per miracolo.
Con il suo autista, Luciano, Maurizio covava uno strano rapporto sadomasochistico. Non si rivolgevano quasi mai la parola, si davano del lei e tutte le volte che Maurizio saliva in macchina, Luciano partiva con i peana a Giuliano Ferrara e a L’istruttoria, il programma che gli faceva concorrenza. Nonostante le provocazioni, Maurizio lo rispettava e lo teneva con sé da anni. Quella sera Luciano si dette malato e al teatro Parioli venne un’altra macchina. L’attentato era stato organizzato in modo perfetto, ma il diversivo dell’auto confuse chi doveva premere il pulsante. Quattro secondi di ritardo. Il colpo di culo della nostra vita.
Da quel giorno conducete esistenze estremamente appartate.
Via Fauro non c’entra. Nonostante mi attribuiscano gli stili di vita più diversi, sono deputata al tran tran più banale e abitudinario che si possa immaginare. Io non esco di sera perché sto fuori tutto il giorno. Quando torno a casa non ho nessuna voglia di veder gente, l’ambiente dello spettacolo non mi è mai interessato e mi è capitato di dover stare in situazioni ufficiali in cui mi sono sentita molto a disagio. Certe sere ai Telegatti, con il tappeto rosso, le colleghe eccitate che ti dicono: “Mi raccomando, quando mi chiamano sul palco dammi il cinque a favore di telecamera” e la sfilata di vanità sono ad anni luce da me. Meglio parlare con il 76enne di oggi che andare al Telegatto.
Quale settantaseienne?
Un signore che cerca due figli. Abitano a Bristol, hanno 46 e 47 anni, non li vede da 30. In questi casi, prima di disturbare i diretti interessati, rifletto a lungo. Ascolto, domando e cerco di capire chi ho davanti.
La accusano di non mettere un limite alla brutalità del reale.
Ma io il limite lo metto. Lo metto eccome. Se passassero un po’ di tempo insieme a me, nelle riunioni piene di dubbi, se ne accorgerebbero. I miei detrattori vedono una parte di realtà che li fa vergognare e amerebbero nascondere sotto il tappeto. La vedono e insorgono. Ma non è che censurandola cambi qualcosa. È un’illusione.
Dicono anche che sia brusca e non sorrida mai.
Anche se non ci crede nessuno, sono timida. Non sono portata a blandìre. Quando ospiti Al Pacino cosa devi aggiungere? Un inutile pippone celebrativo? Un sermoncino? La tv ne è colma. Evito.
Le critiche. I soprannomi. Roberto D’Agostino: “Maria la sanguinaria”.
Le pare che mi arrabbio per una battuta?
Oltre D’Agostino si colloca Sabina Guzzanti. La dipinge come fustigatrice di Dante annoiata dalla Divina Commedia e divertita dal solo Conte Ugolino: “Il cannibalismo è una cosa in cui credo, ho comprato anche un format, ci punto”.
La Guzzanti non mi ha mai disturbato. Maurizio mi ha sempre parlato di lei come una specie di figlia e in ogni caso, se è quel che pensa, fa bene a dirlo. Mi offendo per altro.
E per cosa si offende?
Per gli attacchi gratuiti. Una certa Nathalie, vincitrice dello scorso X Factor, ha detto che sono un cancro. Non capisci mai se si tratti di forzatura giornalistica o di marchetta della casa discografica mascherata da intervista. Ma insomma, porca miseria, se dici certe cose sei messa proprio male. Monica Maggioni comunque ha fatto peggio.
Maggioni: “Detesto Maria De Filippi, quel trash, quelle quattro povere casalinghe acchitate come strappone portate lì a urlare ‘Aho, aho’. Terrificante”.
Sa cosa mi fa arrabbiare? La gratuità. La violenza senza senso. Il livore. Succede di incontrarlo anche su Internet che è uno strumento strepitoso, ma purtroppo accentua alcune forme di delirio. Le persone si nascondono dietro un nick e galvanizzate dal bianco e nero si eccitano con follie e sfoghi denigratori. Io leggo e rimango scioccata.
Risponde mai?
Mai. Se reagisci alimenti il nulla.
È il prezzo della fama?
Se essere famosi significa scontare le Maggioni e le Nathalie preferisco l’anonimato.
Aldo Grasso con lei è stato duro.
Un tempo ci parlavamo anche per telefono. So che mi stimava e su di me aveva scritto anche cose più che onorevoli.
Poi cosa è accaduto?
Devo aver perso ogni sua benevolenza dopo Uomini e Donne. Peccato. Sarei felice di piacergli perché spesso condivido quel che scrive e – va detto – Grasso scrive molto bene. Altre volte invece mi sembra spudoratamente di parte e mi chiedo perché mi ritrovi a cercare la sua rubrica. Però accade. Ogni giorno.
Preoccupata dalla tempesta che investendo Berlusconi lambisce anche Mediaset?
Nella misura in cui la generale difficoltà economica tocca anche l’azienda per cui lavoro. Il calo di pubblicità di Mediaset è un dato reale. I conti devono farli. È inevitabile.
Lei ha sempre detto che sarebbe rimasta in azienda se il rapporto di fiducia con Pier Silvio Berlusconi fosse rimasto solido. È ancora tale? Cosa succederà a Mediaset dopo la decadenza del fondatore?
Pier Silvio e suo padre sono due film completamente diversi. Silvio l’ho conosciuto superficialmente e non so come lavori. Il figlio è sicuramente un ragazzo molto prudente e riflessivo nel muoversi. Lui fa il suo lavoro e io faccio il mio. Fino a quando sono convinta del mio vado avanti. Se non lo fossi più, ci separeremmo. Senza dubbi. Quando dico che resterò fino a quando ci sarà un rapporto di fiducia è vero. Se Pier Silvio prende delle decisioni che con me non c’entrano nulla, non si può pretendere che io viva bene la cosa.
È accaduto? Lei è appena approdata a Real Time con Amici. Prodromi di una separazione?
Ho due anni di contratto e spero di continuare a fare le trasmissioni che mi interessano. Da altri prodotti vorrei rimanere alla larga. Fascino, la mia società, non è Endemol che fattura programmi a Mediaset e vive di conseguenza. Fascino sono io in prima persona. Metto la mia faccia sui programmi che mi piacciono. Se non mi piacciono, non la metto. Se diventassi solo un volto che Pier Silvio sovrappone a un programma qualunque, con una stretta di mano, il rapporto terminerebbe.
Altra voce. I suoi programmi costano molto.
Falso. I soldi servono per pagare gli stipendi dei dipendenti e gli ospiti internazionali. Certo potrei spendere poco e al posto di Charlize Theron o Michael Douglas, invitare un ospite qualsiasi. Preferisco chiamare un grande attore perché sono sicura che il pubblico avverta la differenza. Se avessi declassato il livello del programma per spartirmi l’utile avrei fatto una cretinata.
Sky e Rai l’avrebbero voluta a più riprese. “A La7 non andrei” disse. “Hanno troppa puzza sotto il naso”.
Due settimane fa mi ha telefonato Cairo: “È vero quel che si dice in giro su di lei? Perché se è vero, io sarei molto interessato a incontrarla”. È stato gentile, l’avevo visto una sola volta 30 anni fa. Non ho niente contro La7, ma lavorare a Mediaset non significa essere deficienti. Se 7 milioni di persone vedono un programma non si può pensare siano tutti idioti e a Canale 5, fino ad ora, io mi sono sempre sentita più che libera.
Quindi niente La7?
Mesi fa mi aveva invitato Gad Lerner come ospite. A L’infedele sarei andata, ma Mediaset non concesse la liberatoria.
Se la chiamasse un broadcaster straniero?
Avrei molta curiosità, ma con l’estero il canale è aperto. C’è posta per te lo abbiamo venduto in 23 paesi, Amici è sbarcato negli Usa, Messico e Spagna. Lavoro sulla web tv e sull’innovazione. Le generaliste non dureranno per sempre, solo in Italia ottengono ancora quei numeri.
Lei li ottiene.
Mi sono sempre fidata dell’istinto. Della prima impressione.
È spesso quella giusta?
Neanche un po’.
Non si sentirà precaria, De Filippi?
Prima ti cacciavano se non funzionavi. Oggi può accaderti anche se funzioni. Ecco cosa è cambiato. Ecco come mi sento.
da Il Fatto Quotidiano del 5 dicembre 2013