Un giramento di testa, un incontro mancato, un commento brusco alle scelte del nuovo pontefice. Mercoledì scorso, nell’arco di poche ore, è suonato un campanello d’allarme per papa Bergoglio. Finita l’udienza generale in piazza San Pietro – la temperatura era fredda – Francesco si è sentito girare la testa e il lieve malore lo ha costretto ad andarsi subito a riposare, rinunciando all’incontro con il cardinale Angelo Scola, venuto appositamente da Milano per parlargli di una futura visita all’Expo. Non è una cosa da niente. Scola è stato il principale antagonista di Bergoglio al conclave: non per motivi personali naturalmente, ma come esponente di un’altra piattaforma. Scola è tuttora una delle personalità più autorevoli tra i vescovi italiani e un buon rapporto con lui è decisivo per orientare la Cei sulla linea di riforma, che il papa ha in testa.
In realtà Francesco sta sfruttando esageratamente le sue forze. A 76 anni e con la responsabilità di un’organizzazione di oltre un miliardo e cento milioni di aderenti, il papa argentino non si è preso un attimo di vacanza quest’estate. A differenza di Giovanni Paolo II non si ritempra con piccole “fughe” nella natura e diversamente da Benedetto XVI non si concede regolarmente ogni giorno un’ora di passeggiata nei giardini vaticani. Ai ragazzi della parrocchia di San Cirillo a Roma ha detto domenica scorsa di prendersi solo mezz’ora di riposino dopo il pranzo e poi “di nuovo al lavoro sino a sera”. Francesco pretende troppo dalle sue forze.
Un motivo c’è. Bergoglio sente di non avere molto tempo a disposizione. Una decina d’anni, prima di decidere probabilmente anche lui di passare la mano. E dieci anni nella storia della Chiesa sono assai pochi. Nella marea di elogi e applausi, che lo circonda, il papa argentino è solo, molto solo. Si fosse limitato al programma, che molti cardinali elettori si aspettavano da lui, non ci sarebbero problemi. Riorganizzare lo Ior e snellire la Curia sono questioni tecniche di non difficile realizzazione. Consultare più spesso i vescovi – come veniva chiesto al futuro pontefice durante le riunioni generali precedenti al conclave – poteva essere realizzato con riunioni plenarie del collegio cardinalizio più frequenti e con un ordine del giorno preciso.
Ma Francesco sta facendo molto di più di quanto parecchi suoi elettori si immaginassero (è accaduto con Giovanni XXIII). Vuole rimodellare la Curia dalle fondamenta, riorganizzare il Sinodo dei vescovi, dare forma a un nuovo approccio alle tematiche sessuali, spingere il clero ad abbandonare atteggiamenti burocratici e autoreferenziali, mutare lo stile del potere vescovile, inserire le donne in posti di governo, imprimere con una nuova commissione (annunciata ieri) nuovo slancio alla lotta contro la pedofilia, tutelando le vittime e dando indicazione agli episcopati.
C’è una domanda che aleggia nel Palazzo apostolico, chi appoggia Francesco? Su quali forze può contare? La risposta è che un “partito” o un “movimento” attivo tra clero e vescovi pro-Francesco non c’è. Non si riformaunapparatocorposocome quello ecclesiastico – migliaia di vescovi, centinaia di migliaia di preti e religiosi, una rete di centri di potere grandi e piccoli – senza una robusta schiera di seguaci fedeli e impegnati. In Curia una squadra bergogliana ancora non c’è. Il nuovo segretario di Stato, mons. Parolin, è l’uomo adatto (anche per la sua forte impronta sacerdotale) a lavorare con Bergoglio, ma la maggioranza degli incarichi curiali sono provvisori. Finora non si vede nei dicasteri curiali e nell’episcopato mondiale una pattuglia compatta di cardinali, vescovi e preti pronti a battersi per le sue riforme come potevano essere i fautori della riforma gregoriana nel Medioevo o della svolta del Concilio di Trento. Gli episcopati nazionali sono inerti. Troppi assistono passivamente alle esternazioni di Francesco. Molti conservatori aspettano in silenzio un suo passo falso. Nelle grandi organizzazioni l’apparato sa essere di gomma.
In questa atmosfera le dichiarazioni del segretario di Ratzinger, mons. Gaenswein, al settimanale tedesco Zeit diffondono inquietudine. La rivista, seppure non tra virgolette, ha scritto che per il braccio destro di Benedetto XVI la decisione di Francesco di non abitare gli appartamenti papali è stata sentita come un “affronto”. Di più, Gaenswein pur riconoscendo che il papa è uno soltanto, esclama sconsolato, testualmente: “Ogni giorno aspetto di nuovo cosa sarà diverso (da prima)”. Più che un incoraggiamento una bocciatura del nuovo corso. Francesco è solo, anche se il cuore dei fedeli batte per lui.
Il Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2013