Democratiche, ma tutt’altro che scontate. E non tanto per l’esito finale, quanto per i numeri che faranno da cornice alla sfida tra Renzi, Cuperlo e Civati. Nella notte dell’Immacolata l’universo-mondo Dem avrà due risposte: saprà chi sarà il nuovo segretario e, soprattutto, se questi avrà davvero il potere di rappresentare (tutto) il partito. Se il successo di Matteo Renzi riserva dubbi solo di facciata, ciò che invece agita i sonni dei sostenitori del fu rottamatore è la portata della vittoria. Le previsioni non sono buone. E Renzi non lo nasconde: teme che la quasi certezza sul risultato finale faccia calare a livelli minimi l’appeal delle consultazioni ‘dal basso’. Il sindaco di Firenze è il primo ad ammetterlo: “Se l’8 dicembre andranno a votare meno di un milione e mezzo di persone si tratterà di un fallimento”. Che per lui diventerebbe una debacle totale qualora la bassa affluenza contribuisse a non fargli raggiungere il 50,1% dei consensi, soglia che gli permetterebbe di essere eletto subito al posto di Guglielmo Epifani. L’incubo si chiama “Articolo 9, comma 9” dello Statuto Pd: se nessun candidato alle primarie raggiunge la maggioranza assoluta, “il Presidente dell’Assemblea nazionale indice un ballottaggio a scrutinio segreto tra i due candidati” più votati. A decidere cioè sono i 1100 componenti dell’Assemblea nazionale. Senza voto palese, è terreno buono per i capicorrente. E quando nel Pd si parla di voto segreto, le imboscate sono all’ordine del giorno, come il fuoco amico che ha impallinato Prodi sulla strada del Quirinale. Renzi ha paura del trappolone. Anche perché, se dovesse passare dalla strettoia del ballottaggio interno, l’unico modo per conquistare con certezza la segreteria sarebbe quello di stringere alleanze con il terzo incomodo. Una sorta di larghe intese in salsa dem, quindi una doppia beffa.
A Renzi non basta vincere, Civati spensierato, catenaccio Cuperlo
In tal senso, i numeri dei congressi locali (ovvero tra gli iscritti Pd) non inducono all’ottimismo: Renzi al 46,7%, Cuperlo al 38 e Civati al 9. Se queste percentuali fossero confermate l’8 dicembre (e nelle precedenti tornate interne non si sono mai registrati grandi stravolgimenti) si andrebbe al ballottaggio. Renzi vuole evitarlo e alza l’asticella della sua campagna elettorale, tutta orientata verso il cambiamento non del Pd (o almeno non solo) ma dell’intero Paese (“Un referendum sull’Italia” è lo spot). Una strategia che non vive più solo di slogan, a cui nelle ultime settimane hanno fatto da corredo dati, numeri e peculiarità del suo progetto, sbandierato in tutti i salotti tv in cui si è presentato. La conferma è nei messaggi agli elettori: “Se volete eliminare il Senato votate me” ha detto il sindaco, che promette di prendere possesso del governo delle (ex) larghe intese per spingere la gente ad andare ai seggi. Se la strategia avrà successo, lo si saprà solo nella notte dell’Immacolata. Di recente, però, il quotidiano Europa ha pubblicato un sondaggio secondo cui, rispetto alle scorse settimane, saranno almeno 300mila i votanti in meno. Con questi dati, l’alba del nove dicembre avrebbe un sapore amarissimo per Renzi e, perché no, anche per Civati, l’unico che non ha davvero nulla da perdere nella competizione (e per questo potrebbe esserne la sorpresa). Diverso il discorso per Cuperlo e per chi lo sostiene. Secondo i più maligni, infatti, D’Alema (padre politico del deputato triestino) starebbe giocando una partita doppia: in pubblico lancia la volata a Cuperlo, nelle segrete stanze del partito ne rallenta l’andatura. Il ragionamento dell’ex premier sarebbe questo: contro Renzi si perde, quindi meglio limitarne il successo che provare inutilmente a vincere. Da qui la scelta di un candidato non proprio pop (vedi la gag de Il Terzo segreto di Satira) e una campagna elettorale non brillante.
I sondaggi della vigilia danno ragione al sindaco di Firenze
Alle urne tra i 900mila e i 2,1 milioni di italiani, Renzi sicuro di vincere al primo turno a prescindere da quanta gente andrà a votare. E’ quanto emerge dal sondaggio dell’istituto di ricerca Tecnè per Tgcom24. Nel corso della rilevazione l’1,9% degli intervistati si è dichiarato sicuro di votare alle primarie del Pd. Di contro, il 60,4% ha invece ammesso che “sicuramente” non vi prenderà parte. Il 13,3% ha preferito non indicare la sua partecipazione o meno alle votazioni. Prendendo in considerazione “chi ha dichiarato quale candidato voterà alle primarie”, Matteo Renzi otterrebbe da un massimo del 62% delle preferenze ad un minimo del 56%. Percentuali decisamente più alte rispetto a quelle che otterrebbero altri due candidati alle primarie: Cuperlo (28% – 34%) e Civati (6% – 12%). Ma le intenzioni di voto subiscono una variazione a seconda del numero degli elettori che si recheranno alle urne. E così nel caso in cui i votanti raggiungessero quota 2,1 milioni, Renzi otterrebbe il 56%, Cuperlo il 26% e Civati il 7,3%. Qualora i votanti fossero 1,8 milioni, l’attuale sindaco di Firenze arriverebbe al 54,9%, Cuperlo salirebbe al 27,7% e Civati all’8,1%. Nel peggiore dei casi, con il numero degli elettori che si fermerebbe a 900 mila, Renzi si attesterebbe al 52,2%, Cuperlo raggiungerebbe quota 32,6% mentre Civati conquisterebbe il 10,1% delle preferenze. Numeri che fanno ben sperare il sindaco di Firenze. Ma con una oscillazione così ampia nel numero dei possibili votanti, anche le sicurezze traballano.
I numeri di ieri e quelli di oggi. Con una certezza: nessun record di voti
Già il fatto che all’interno del Nazareno si ragioni su 1,5/2 milioni di votanti come linea di confine tra il successo e l’insuccesso delle primarie è un fatto assai significativo. Soprattutto perché testimonia le ambizioni ridotte del Pd, che dà già per scontato il dimezzamento della partecipazione rispetto alle precedenti tornate. Nel 2012 erano sì primarie di coalizione (oltre a Renzi, Puppato e Bersani, anche Tabacci e Vendola), ma al primo turno andarono ai seggi 3milioni e 100mila persone, per poi diventare 2milioni e 800mila al ballottaggio vinto da Bersani. Nel 2009, invece, erano primarie pure: scontro tra Franceschini (34%), Marino (12%) e Bersani (53%), 3milioni e 103mila alle urne. Nel 2007 Veltroni vinse con percentuali bulgare: quasi il 76% dei 3milioni 554mila voti, contro il 13% della Bindi e l’11% di Enrico Letta. L’8 dicembre, invece, a sentire Davide Zoggia (responsabile organizzativo del Pd) negli 8800 seggi sparsi in tutta Italia si attendono al massimo 2 milioni di persone. Per i vertici democratici sarebbe un gran risultato. Il motivo? “Dobbiamo ricordarci – ha detto Zoggia – che alle primarie del 2012 si è avuta una partecipazione di oltre 3 milioni perché non si votava per scegliere il segretario ma il candidato premier, quindi aveva un significato diverso”. Sarà, ma dare per assodato oltre un milione di voti in meno non è buon segno.
Panorama democratico: le squadre dei tre candidati
Con il rottamatore molti rottamati (e un po’ di banche), con Civati i giovani di OccupyPd (e forse Prodi), con Cuperlo l’apparato. E’ pieno di contraddizioni più o meno lampanti il mosaico democratico a sostegno dei tre candidati alla segreteria nazionale. Il sindaco di Firenze, ad esempio, rispetto al passato ha cambiato strategia: oltre a puntare sui suoi fedelissimi (Delrio, Rughetti e Richetti su tutti), questa volta non ha perso d’occhio il consenso trasversale all’interno del partito. Da qui le adesioni multicolor al suo progetto politico, tanto che il ‘fronte Renzi’ sembra quasi una riproposizione tutta democratica de l’Unione di prodiana memoria: ex dalemiani (Emiliano, Latorre e Burlando), ex bersaniani (Vincenzo De Luca, Merola e Bonaccini), prodiani (Gozi, Parisi, Recchia, ecc), veltroniani (Veltroni, Ceccanti, Morando, ecc), il liberal Enzo Bianco, l’ex candidato Pittella, il lettiano Boccia e i ‘dem’ Franceschini, Fassino, Zanda e Sereni. Fauna democratica in ordine sparso, quindi, a cui vanno aggiunti gli endorsement di personaggi noti al grande pubblico (il cantante Jovanotti e il patron di Eataly Oscar Farinetti) e, soprattutto, di Unicredit. Quest’ultimo non è un fattore da sottovalutare: se anche il potere bancario ha cambiato sponda, allora vuol dire che Renzi ha rottamato la rottamazione per puntare (anche) sull’establishment.
Poche sorprese, invece, tra i sostenitori di Cuperlo. L’orto è quello di Massimo D’Alema, i frutti non possono che orbitare nelle simpatie del lìder maximo. Il deputato triestino può contare sui Giovani turchi (Fassina, Orlando, Orfini), dalemiani doc (D’Alema, Finocchiaro, Sposetti, Livia Turco, ecc), ultrabersaniani (Bersani, Errani, Rossi, Speranza, Zoggia, Moretti), su Rosario Crocetta, sulla lettiana De Micheli e sugli ex popolari Marini e Fioroni. In tutto questo baillamme di nomi e riposizionamenti, Pippo Civati ha la squadra meno forte: con lui qualche prodiano (Zampa, Soliani e Santagata), parlamentari in ordine sparso (Puppato, Casson, Tocci, Mineo, Gandolfi e Marzano) e personalità del calibro di Pietro Ignazi e Fabrizio Barca. E Romano Prodi? Il professore alla fine ha detto che voterà, ma non per chi. Immaginare una sua preferenza per l’establishment che gli ha impedito di arrivare al Colle è remoto. E siccome la dirigenza storica si divide tra Renzi e Cuperlo, l’ipotesi più accreditata è che l’ex premier possa votare Civati.
Il giorno dopo le primarie: come saranno le segreterie?
Matteo Renzi lo ha detto e ridetto: “Lunedì 9 dicembre, se sarò eletto, presenterò subito la mia segreteria e così vedrete chi ci metterò dentro”. La risposta, piccata, è per coloro che criticano le troppe aperture del rottamatore ai rottamati del centrosinistra (e al consenso che conservano all’interno del partito). Il senso, invece, viene con i numeri anticipati dal sindaco: “La mia segreteria sarà composta da 12 persone, 6 saranno donne”. E via al totonomi. Poche certezze, tante ipotesi. Luca Lotti potrebbe essere il coordinatore della segreteria, Lorenzo Guerini il tesoriere, Bonaccini all’organizzazione, Yoram Gutgeld o Tommaso Nannicini all’economia, Funiciello alla comunicazione. E le donne? In pole Deborah Serracchiani e Mila Spicola, da verificare il ruolo che avranno le fedelissime Simona Bonafè ed Elena Maria Boschi. Poi le voci: per sostituire Rosy Bindi alla presidenza del partito, Renzi potrebbe nominare Piero Fassino. Ovvero un ex segretario Ds (con Fassino, Veltroni e Franceschini il sindaco avrebbe con sé tre degli ultimi cinque segretari), attuale sindaco di Torino, presidente Anci e componente del cda della Cassa Depositi e Prestiti. Non proprio un rinnovamento.
Nessuna indiscrezione invece sulla squadra di Cuperlo. Il delfino di D’Alema, però, ha anticipato qualcosa sul metodo: anche nella sua ipotetica segreteria ci saranno tante donne e, soprattutto, un membro distaccato a Bruxelles. Perché – ha detto – “l’agenda europea è un pezzo dell’agenda italiana, e una volta al mese riunirò a Bruxelles la segreteria”. Che sarà “itinerante”: “Non la riunirei sempre a Roma, ma in diverse città d’Italia, nei luoghi della difficoltà, della crisi”. L’unico ad anticipare un nome della sua possibile segreteria è Pippo Civati, che al confronto su Sky della scorsa settimana ha detto a chiare lettere che prenderebbe con sé Maria Carmela Lanzetta, sindaco anti ‘ndrangheta di Monasterace. Il resto della squadra del deputato milanese lo hanno anticipato i retroscenisti politici, che vedono un mix tra politici esperti (Fabrizio Barca e il senatore Walter Tocci) e figure nuove, magari da pescare tra i giovani di OccupyPd. Sempre che, ad occupare il Pd, non siano il ballottaggio al buio dell’Assemblea nazionale e l’addio alle urne democratiche di più di un milione di elettori. In quel caso non ci sarebbero più rottamatori ma solo rottami.