Il Ministero Carrozza avrebbe dovuto rappresentare la tanto attesa inversione netta nella politica universitaria e della Ricerca, almeno stando a quanto riportato dal programma con cui il Partito Democratico si è presentato alle elezioni. E’ noto che gli eventi sono andati in una maniera purtroppo molto diversa, rendendo carta straccia qualsiasi promessa elettorale dal famoso “smacchiare il giaguaro” in giù. In questo cataclisma politico cosa è rimasto dei buoni propositi per il “rilancio dell’università e della ricerca” promesso dal Pd fino al giorno prima di formare questo governo? Polvere e macerie, morali e materiali. Ad esempio, il governo Letta ha continuato a disinvestire nelle borse di studio universitarie: mentre nell’ultimo anno il Fondo integrativo statale per le borse di studio è sceso da 163 a 151 milioni di euro, con il governo Letta si è passati a circa 113 milioni, accelerando il declino. Questo è avvenuto in una situazione in cui il diritto allo studio non aveva già paragoni con gli altri paesi europei: in Italia, dal 2006/07 al 2011/12 il numero di studenti beneficiari – già basso – è calato del 22%, mentre in Francia è cresciuto del 32%, in Germania del 33% e in Spagna del 59%.
Poi è stata ripartita la facoltà di spesa (non i fondi dunque, ma l’autorizzazione a spenderli) per le assunzioni di nuovi docenti in maniera del tutto iniqua tra le università. Infatti, il decreto con il quale il Ministro Carrozza ha distribuito la possibilità di assumere nuovi docenti, con la dotazione di punti organico per il turn-over 2013, ha scatenato feroci polemiche. A fronte della gran parte degli atenei del sud Italia che avranno l’autorizzazione ad assumere un nuovo docente solo quando dieci o, in alcuni casi, anche più, se ne andranno in pensione, c’è un ateneo che può addirittura incrementare gli organici duplicandoli: il caso ha voluto che questo sia l’ateneo dove l’attuale ministro era Rettore. Il finanziamento alla ricerca di base ancora langue e non è neppure chiaro se il bando per i progetti nazionali sarà effettuato di nuovo.
Questi interventi su Università e Ricerca non sono necessari per ragioni di bilancio ma sono il risultato di una scelta di ordine puramente politico. La ragione sostanziale è la pressione del mondo imprenditoriale che ha perso la bussola su come uscire dalla crisi economica e che, perciò, si riunisce proprio nel santuario di quegli economisti che non solo non hanno previsto la crisi economica, credendo che i mercati fossero stabili, ma che continuano a suggerire misure disastrose, come l’austerità, per uscirne fuori. “La ricerca italiana cosa distruggere, come ricostruire” si chiedono, infatti, la prossima settimana alla Bocconi alla presenza del ministro Carrozza. Noi sommessamente speriamo che, di là dagli esiti delle primarie, il Pd si spacchi perché non vediamo alcuna possibilità di redenzione: quelli che ancora hanno qualche speranza di non rendere l’Italia un paese di camerieri e lacchè s’impegnino a coagulare intorno a sé un partito che non riduca qualsiasi cosa in polvere e macerie.