Francesco Merlo, insultato da Grillo, “gli ultimi elenchi di giornalisti, – risponde – le ultime schedature di obiettivi sensibili, le hanno fatte in Italia quelli che poi, dopo qualche anno, aspettarono in via Solferino Walter Tobagi. E, a ritroso, i camorristi che inseguirono la Mehari di Giancarlo Siani e i mafiosi che pedinarono Pippo Fava…“.
Momento. A noi dei battibecchi fra un Grillo e un Merlo cale un bel niente; ma dei paragoni con Fava, sommessamente, se si può chiederemmo di fare a meno. Giuseppe Fava, oppositore fierissimo d’un regime, fu assassinato da quest’ultimo quasi esattamente trent’anni fa; non frequentava palazzi né emanava proclami ed era semplicemente un uomo libero, e un giornalista.
Non dico che Merlo, sotto il potere che uccise Fava, sia stato un collabò, un collaborazionista. Ebbe il buon senso di andarsene, di stare in buoni rapporti con Ciancio e di non prender mai posizione su argomenti pericolosi. Bella penna, peraltro, elegante e civile; fosse uno chansonnier, e fosse anzichè di Catania di Parigi, sarebbe Maurice Chevalier sotto l’Occupazione, nel quarantatrè.
(Intanto, nell’indifferenza generale e specie dei giornalisti, chiude – per strozzamento – il povero foglio dei ragazzi di Modica, estrema Italia, il “Clandestino”. Loro, che non oserebbero mai paragonarsi a un Pippo Fava, ne hanno seguito la strada tuttavia: e chiudono, in solitudine, come prezzo di questo. Io stringo loro la mano, senza dir niente, anche per chi non c’è più).