Processi saltati in aria per un tweet. Giurati che commentano sulle parti in causa sui loro blog. Identità di testimoni nascosti rivelate con una foto sparata online. Dopo decine di casi solo in questo 2013, la giustizia britannica prova a tamponare la forza di Twitter, Facebook e di tutti gli altri social media. Così, dall’inizio di questa settimana, il procuratore generale Dominic Grieve (massima autorità della giustizia dopo il ministro) ha iniziato a pubblicare delle note esplicative su quello che si può e che non si può pubblicare. Ogni settimana, sul sito di microblogging e sul quello del governo, Grieve cercherà di indirizzare la popolazione britannica su quale possa essere il rischio di commenti “sprovveduti” sui social media. Una vera rivoluzione digitale per la giustizia del Regno Unito, che finora ha sempre destinato le proprie raccomandazioni al solo mondo dei media tradizionali.
“Ma oggi siamo tutti produttori di informazione – hanno commentato dall’ufficio del procuratore generale – quindi è giunto il tempo che ognuno sia cosciente di quello che scrive su Internet”. Il “contempt of court” – in pratica il turbare la regolarità di un processo – è del resto sempre più frequente. Il mese scorso un britannico è stato incarcerato per aver pubblicato su Twitter delle foto raffiguranti un testimone di giustizia al quale era stata data una nuova identità.
Pochi giorni fa, inoltre, Peaches Geldof, figlia del fondatore di Band Aid, Bob Geldof, ha dovuto chiedere pubblicamente scusa per aver rivelato, sempre su Twitter, l’identità delle madri di due ragazzine abusate sessualmente. Allo stesso modo, negli ultimi mesi, più volte è stato messo a rischio l’enorme processo, ancora in corso, contro giornalisti e manager di News International, l’azienda di Rupert Murdoch da tempo al centro delle indagini per lo scandalo delle intercettazioni. In un mondo sempre più online, la frontiera delle possibili violazioni della legge si allarga sempre di più. Già nei mesi scorsi un giudice con forti legami all’interno del governo aveva definito il mondo online “un megafono per il gossip governato dalle regole della massa”. E ora, appunto, l’appello del procuratore generale: “I post online possono raggiungere migliaia di persone in pochi secondi e questa è una grande cosa. Però questa nuova modalità di interazione pone molte sfide al sistema della giustizia. Non stiamo facendo questo per alcuni casi in particolare, ma, appunto, per prevenire che molti processi vengano messi a repentaglio dall’uso sconsiderato dei social media. E non stiamo impedendo alle gente di comunicare. Semplicemente stiamo consigliando alla gente quale sia il modo più giusto per comunicare nel rispetto della legge”.
Intanto, però, c’è chi avverte il procuratore della possibile inutilità della nuova politica. Come Paul Staines, fondatore del famoso blog di politica Guido Fawkes. “L’effetto ‘Streisand’ (in cui la censura produce un effetto di alta risonanza mediatica, ndr) è sempre dietro l’angolo, anche considerando che ormai molti degli account su Twitter o su Facebook sono anonimi o indicano delle false identità”. L’effetto Streisand è ormai noto a chi studia le dinamiche dell’online. Nel 2003, Barbra Streisand cercò in ogni modo di censurare dettagli e fotografie relative alla sua abitazione a Malibù, intentando anche una causa legale. L’effetto fu semplice quanto drammatico per l’artista: in pochi giorni le foto della sua casa, fino ad allora circolate in una cerchia ristretta, furono viste da oltre mezzo milione di persone.