“Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera… e il vecchio diceva, guardando lontano: ‘Immagina questo coperto di grano, immagina i frutti e immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori e in questa pianura, fin dove si perde, crescevano gli alberi e tutto era verde, cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’ uomo e delle stagioni…’ Il bimbo ristette, lo sguardo era triste, e gli occhi guardavano cose mai viste e poi disse al vecchio con voce sognante: ‘Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!'”

C’è chi dice che con questa canzone Guccini volesse descrivere una sorta di inverno nucleare. Non mi sento di condividere questa interpretazione, anche perché dopo una guerra nucleare “noi non ci saremo”, come aveva già scritto in precedenza.

No, invece io penso che questa sia una delle pochissime canzoni ecologiste della tradizione italiana, così lontana dai temi sociali e dal tema ambientale in particolare, se si eccettua l’inarrivabile Rino Gaetano o Pierangelo Bertoli e poco altro.

Questo è semplicemente quello che aspetta non tanto noi, quanto le generazioni a venire se la follia umana continuerà.

“Il vecchio e il bambino” fu ripresa, come tanti altri testi gucciniani, dai Nomadi, con una versione meno intimista ed arricchita dalla voce unica di Augusto Daolio. Ed è così che mi piace ricordarla.

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