Da cinque giorni sta chiuso in una cella a San Vittore e non parla. Sabato il suo interrogatorio di garanzia davanti al gip è durato meno di cinque minuti, il tempo di aprire e chiudere il verbale. Antonino Benfante, classe ’63, detto Nino Palermo si avvale della facoltà di non rispondere. Parlerà, forse, mercoledì nel colloquio fissato con il suo legale Roberta Ligotti. Sulle spalle il peso di tre omicidi consumati in tre giorni. Tra il 27 e il 31 ottobre 2013 muoiono Paolo Simone e i fratelli Tatone, Emanuele e Pasquale (originari di Casaluce in provincia di Caserta), gli ultimi re dello spaccio a Quarto Oggiaro. La droga, dunque. Ecco, ad oggi, il movente per spiegare quel far west urbano che ha tenuto Milano con il fiato sospeso per oltre un mese. Benfante voleva prendersi il giro della cocaina. Questo il ragionamento che si fa alla squadra Mobile e che si legge nell’ordinanza firmata dal gip Andrea Salemme.

TENTATA ESTORSIONE E MEDIATORE DEI BOSS
Il movente dello spaccio, però, non convince fino in fondo. Eliminati i Tatone, Nino Palermo poteva da solo e senza l’appoggio di altri, riprendere in mano il business? Una domanda che ad oggi resta senza risposta. Anche se il procuratore aggiunto Alberto Nobili non scarta l’idea che Benfante, per un’azione del genere, abbia dovuto chiedere il permesso a qualcuno più in alto di lui. E così a spiegare, in parte, i legami del presunto killer di Quarto Oggiaro c’è un documento del 2012 allegato agli atti dell’inchiesta. Si tratta dell’ordinanza di custodia cautelare con cui il gip Santangelo dispone l’arresto per tentata estorsione aggravata dall’articolo 7 (l’utilizzo del metodo mafioso) di Maurizio Massè ed Enrico Flachi, fratello del superboss della ‘ndrangheta Giuseppe Flachi recentemente condannato per mafia ma attualmente ai domiciliari per problemi di salute.

In questo procedimento approdato già a una condanna di primo grado, risulta indagato lo stesso Antonino Benfante. Siamo nel gennaio 2012 e Nino Palermo lavora per un’azienda di Novate Milanese gestita da Stefano Rizzo. La società che si occupa di edilizia finisce nel mirino della cosca Flachi per un credito che l’imprenditore vanta nei confronti del proprietario del ristorante 1958 di via Amoretti. Il titolare non paga il dovuto. Intervengono così gli emissari della ‘ndrangheta sostenendo che quel locale da qualche tempo è finito sotto l’ala di Flachi. L’invito è chiaro: dimenticarsi di parte del denaro. In tutto ciò Benfante, stando alla lettura dell’ordinanza d’arresto, gioca il ruolo di mediatore. E per questo finisce denunciato dalla Guardia di finanza di Milano. Il 18 gennaio 2012, infatti, Massè e Flachi si presentano a Novate Milanese per incontrare Benfante che però non è in ditta. Il giorno dopo si replica. I due vedono Nino Palermo davanti a una trattoria. Rizzo assiste all’incontro dalla finestra e poco dopo caccia Benfante dall’azienda. In quel momento il presunto killer rivela il motivo di quel contatto: racconta che Flachi e Massè avevano chiesto “il suo intervento” per risolvere la questione economica tra Rizzo e il proprietario del ristorante. Benfante è ancora più chiaro: se l’imprenditore non seguirà le indicazioni dei boss per lui sarà difficile lavorare in zona. E aggiunge: fino a che lui (Benfante, ndr) rimarrà a lavorare nella sua azienda non gli succederà niente. Come finirà? Nel migliore dei modi, Stefano Rizzo denuncerà tutto alla Procura di Milano. Per Benfante non scatterà l’arresto, ma il suo nome sarà iscritto nel registro degli indagati.

Insomma, chi ha sterminato buona parte della famiglia Tatone non pare certo uno sprovveduto e soprattutto, scavando nel suo passato, si scoprono legami decisamente robusti con la criminalità organizzata. Maurizio Massè, ad esempio, è una vecchia conoscenza di Nino Palermo. I due finiranno in carcere dopo il blitz antimafia Terra bruciata. Benfante con il ruolo di luogotenente di Biagio dentino Crisafulli, Massè con quello di acquirente delle buste di eroina e di spaccio davanti al bar Quinto in via Pascarella.

DROGA E PIAZZE DI SPACCIO: IL RAPPORTO TATONE-FLACHI
Cocaina spacciata e contatti con la ‘ndrangheta di Pepè Flachi. Questo il salto di qualità su cui s’indaga? Forse. A ingarbugliare lo scenario, però, ci sono da un lato i rapporti sentimentali tra Nicola Tatone (oggi in carcere) e una nipote della famiglia Scirocco (storicamente legata alla cosca Flachi) e dall’altro i contatti per il traffico di droga tra i luogotenenti dei boss casertani e gli uomini di don Pepè da sempre egemoni nelle zone di Bruzzano e Comasina. Quest’ultimo aspetto emerge in maniera chiara dall’indagine Redux-Caposaldo che nel nel 2011 ha fatto luce sul racket dei paninari gestito dalla ‘ndrangheta lombarda. Al centro c’è la figura di Francesco Piccolo, vero e proprio braccio operativo dei boss, e un capitolo dell’informativa finale intitolato “Contatti tra Piccolo e malavitosi di Quarto Oggiaro”. Tra questi, annotano i finanziari, “si distingue Alessandro Palmieri, pluripregiudicato con precedenti per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti”. Palmieri finisce in carcere nel settembre 2009 e tre mesi dopo gli viene notificata un’ordinanza in carcere che coinvolge “il clan Tatone, organizzazione criminale guidata da membri dell’omonima famiglia”. In quel documento Palmieri viene definito “luogotenente di Nicola Tatone, operando come organizzatore e dirigente delle piazze di spaccio”. Di quella tornata di arresti faceva parte anche Roberto Forgione, ex marito della compagna di Antonino Benfante, poi buttatosi pentito. Ora seguendo i contatti tra Piccolo e Palmieri, gli investigatori ricostruiscono i rapporti tra i due clan. Emergono i nomi di Francesco Zaccaro, anche lui arrestato nel 2009 e quello di Mario Fazio, detto Marietto, in contatto con Massimo Blancato, ucciso a colpi di pistola fuori dalla discoteca milanese De Sade il 28 dicembre 2008.

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