Secondo me Matteo Renzi è di sinistra. L’Italia oggi si divide in due blocchi: quelli che pensano che Renzi sia uno di destra che ha preso la guida del Pd per una fortuita concatenazione di errori e quelli che a cui non interessa, destra o sinistra purché porti rinnovamento e aiuti l’Italia a uscire dalla palude della recessione.
Dicono che Renzi sia di destra perché ha carisma, perché capisce la televisione, perché è stato ad Arcore da Silvio Berlusconi, perché non cita Gramsci, perché preferisce Mandela a Berlinguer. Ma anche perché non ama la Cgil, parla di merito e vuole valutare gli insegnanti, è di destra perché parla sempre di cultura, di Dante e delle bellezze fiorentine ma non cita mai i libri che ha letto (forse perché ne ha letti pochi).
Tutto vero. Ma anche riduttivo. Il problema è che in Italia negli ultimi 20 anni ci siamo abituati a misurare la sinistra in rapporto a Silvio Berlusconi. E visto che Berlusconi è tv, carisma, slogan, comunicazione, e Berlusconi è di destra, allora Renzi è di destra. Molto superficiale.
Dovendo scarnificare l’infinito dibattito su destra e sinistra, mi sentirei di proporre questa distinzione: la destra ha al centro l’individuo, la sinistra la società. Per la destra poco importa se quelli intorno a te stanno male, soffrono, stagnano nella povertà, se la disperazione dei Paesi vicini produce fastidiosi immigrati, se le cose belle di cui tu godi (assistenza sanitaria, cultura, maternità) non sono condivisi anche dal tuo vicino. Questa è la destra. Ma Renzi non è questo.
I discorsi molto americani – nel senso che creano aspettative, atmosfere, tensioni ideali ma non si fermano sui dettagli – del sindaco di Firenze vanno in un’altra direzione. Trascurando il politichese, e quindi leggi elettorali, alleanze, riforme costituzionali e fuffa varia, quello che resta della proposta di Renzi è la promessa di una società più dinamica, in cui i dinosauri vengono rispettati ma rimossi dalle posizioni di potere, in cui una generazione (quasi tre ormai, i ventenni, i trentenni e i quarantenni) non vengono più sacrificati e spremuti, scaricando su di loro i costi della competizione globale. Renzi non vuole meno Stato, come la destra più liberista (anche quella che si colloca sinistra, tipo Alesina & Giavazzi), non crede che il mercato sia più efficace della mano pubblica nel risolvere i problemi dei più deboli. Il nuovo segretario Pd parla di asili nido e assistenza agli anziani garantita dallo Stato, non di privatizzare l’istruzione o la sanità.
Chi si professa di sinistra in Italia in questo momento dovrebbe dedicare la stessa attenzione ai cassintegrati che guadagnano 800 euro per non lavorare così come alle partite Iva che per avere lo stesso reddito netto devono faticare a tempo pieno senza tutele. Renzi non ha ancora messaggi espliciti su questo, ma ti dà quell’idea. Sai che non sarà un altro politico di sinistra che si commuove per Bella Ciao e gli operai mentre pensa alla sua barca a vela o alla prossima cena con il finanziere d’area.
La cosa che turba tanti è che Renzi non è di sinistra sulle questioni sindacali. Non è di sinistra nel senso in cui lo è stata la filiera Pci-Pds-Ds-Cgil: il suo approccio non è la contrapposizione capitale-lavoro, non affronta le imprese come il nemico, anzi, vorrebbe più imprenditori, più start-up (che poi vuol dire solo nuove imprese) e pensa che lavoratori e datori di lavoro siano soltanto due ruoli diversi necessari per raggiungere uno scopo comune, la creazione di ricchezza e benessere per tutti. Ma davvero c’è qualcuno disposto a sostenere che al Cgil, la Cisl e la Uil sono un baluardo indispensabile per la tutela dei più deboli in Italia?
La vera disuguaglianza in questi anni non è stata tra padroni e salariati, ma tra chi è rimasto fermo e chi ha continuato a crescere, sia tra Paesi che dentro i Paesi. La distinzione tra classi sociali non funziona più (ci sono gli imprenditori che si suicidano e quelli che portano i soldi in Svizzera, gli avvocati che evadono il fisco per comprarsi la Porsche e quelli a inizio carriera che guadagnano meno di un manovale, le archistar e gli architetti a partita Iva con stipendi da stagisti).
Su una cosa però Renzi effettivamente non è di sinistra: lui vuole vincere, in un modo americano, senza compromessi, senza condivisione di responsabilità (ricordate Bersani che diceva “mi comporterò come se avessi il 49 per cento anche se avrò il 51?”). In Italia la sinistra post-comunista non ha mai saputo davvero vincere, c’è voluto Romano Prodi, un ex-Dc che sarebbe arduo considerare di destra. Ora c’è Renzi. Se la sconfitta è di sinistra, allora Renzi è di destra e Gianni Cuperlo è invece perfettamente mancino. Ma se essere di sinistra vuol dire cercare di cambiare le cose in modo che non prevalga la legge della giungla (del mercato, della competizione ecc) con la quale si salvano solo i più forti, allora Renzi può collocarsi a sinistra.
Ora, però, deve dimostrare di essere all’altezza della responsabilità che la storia e i disastri dei suoi colleghi di partito gli hanno consegnato.