Nella domenica che sarà ricordata (per qualche giorno) per i due euro da sborsare per dare un voto a un candidato del Pd che dovrebbe portare una ventata di novità in Italia, sempre che ci si tappi il naso per non inalare le zaffate di naftalina, io ho mangiato la polenta, con un orecchio alla radiocronaca di Virtus Vecomp Verona-Spal, e ho finito di leggere Duplice delitto a Hong Kong, piacevole romanzo dello scrittore di Hong Kong Chan Ho Kei, pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.
Si tratta di un libro che ruota intorno alle identità multiple, metafora simbolica di quello che rappresenta la megalopoli asfittica di Hong Kong, una città dove contemporaneità e tradizione si incrociano, si scontrano, si scambiano di ruolo. La storia prende avvio con l’ispettore Hui Yau-Yat che si sveglia in macchina e non ha idea di come sia finito in un parcheggio così lontano da casa sua. L’odore di alcol che pervade l’abitacolo proviene proprio dalla sua giacca. Per quanto si sforzi, non riesce a ricostruire cosa sia successo la sera prima. Ha bevuto troppo? Tutto gli sembra familiare ma anche vagamente estraneo. L’unico ricordo nitido che ha è l’immagine di due corpi dissanguati riversi sul pavimento di una stanza, il clamoroso duplice omicidio su cui sta indagando.
In realtà, l’amnesia di cui soffre è molto più grave: quel delitto è avvenuto sei anni prima. Il caso è già stato risolto, ma qualcosa non lo convince. Con l’aiuto di una giovane giornalista, Hui Yau-Yat, riprende quindi le indagini concentrandosi su un possibile assassino ignorato dall’inchiesta precedente. Ciò lo porta a scoprire verità nascoste su di sé e sulla dinamica del delitto in un intreccio narrativo che mescola la tensione della trama a uno sguardo affascinante sulla metropoli di Hong Kong. Una storia che si snoda fra i grattacieli di Central e i centri commerciali che ospitano le firme internazionali dell’alta moda, il dedalo delle viuzze dei Mid Levels, nella colorata ed effervescente atmosfera di Hollywood Road, il quartiere cinese di Wan Chai, i mercatini caotici, i negozi di antiquariato, le bancarelle di bric-a-brac, i palazzi appoggiati sulle verdi colline, il melting pot di razze e culture.
Non è il primo romanzo che leggo, inseribile nel variegato mondo del noir asiatico, pubblicato da Metropoli d’Asia, ottima casa editrice fondata dallo scrittore e saggista Andrea Berrini, con l’obiettivo di scoprire, tradurre ed esporre a un vasto pubblico narratori contemporanei asiatici che propongono temi e scritture innovativi. Tra i miei preferiti ci sono un libro di un’autrice del Bangladesh e quello di un autore malese. Un grande esordio quello della scrittrice Shazia Omar (che intervistai all’uscita del libro), nata a Dhaka, capitale del Bangladesh, dove vive e lavora per un’agenzia che si occupa di sviluppo nelle baraccopoli. Ed è in parte in esse che è ambientato “Come un diamante nel cielo”, titolo che è un chiaro tributo ai Beatles che, come altri mostri sacri del rock d’annata, compaiono fra le righe di questo intenso e scoppiettante romanzo.
Shazia Omar, con ritmo serrato, racconta la parabola di due tossicodipendenti di Dhaka: Deen, rampollo di una ricca famiglia decaduta, e Aj, proveniente dal mondo squallido delle baraccopoli, ma che è riuscito a farsi strada come galoppino di un boss del contrabbando di pietre preziose. Fra feste d’alto bordo, rapine, sballi dolciastri di eroina e LSD, i due protagonisti compiranno la loro discesa all’inferno, dandoci una veduta inedita del Bangladesh, paese pieno di contraddizioni insanabili. Una storia che intreccia il thriller al noir di impianto classico: l’amore struggente per una bella ragazza, la pistola rubata al boss, la partita di diamanti, la polizia corrotta. E ci regala immagini profonde di Dhaka, metropoli d’Asia. Moderna ed endemicamente immutabile.
“Malesia Blues“, del giornalista e blogger malese Brian Gomez rimane uno dei libri più divertenti e che più mi hanno ispirato nel mio lavoro di romanziere negli ultimi anni. È un testo che consiglio a tutti. L’autore riesce a condensare in relativamente poche pagine adrenaliniche stati d’animo che, apparentemente, cozzano fra loro: si ride, si piange, ci si indigna, si sogna. Siamo a Kuala Lumpur: Ning Somprason, detta Devil, è una prostituta thailandese, con il sogno di guadagnare abbastanza per mandare soldi a casa e permettere alla figlia di evitare il suo stesso destino.
Terry Fernandez è un musicista fallito, che sta per sposarsi con la figlia di un ministro che può garantirgli un impiego. Terry festeggia con gli amici, che gli hanno organizzato la classica serata di addio al celibato con prostituta. Quando Terry trova i suoi amici morti nella sua stanza all’albergo The Grand, il suo pensiero va alla probabilità che il ministro lo voglia morto.
Nello stesso albergo c’è Ning, che dopo aver ucciso un cliente rivelatosi poi essere un terrorista, fugge con il suo cliente successivo, Terry appunto. Da qui inizia una vicenda di intrecci mozzafiato, che corre velocissima tra un colpo di scena e l’altro ed è arricchita da numerosi e spesso bizzarri personaggi: un agente CIA che ritiene coinvolto il Partito Comunista Cinese, un tassista con la testa piena di teorie su cospirazioni che lo circondano, un criminale dilettante ma temutissimo, il protettore di Ning, che si è dato il soprannome Fellatio credendo sia il nome del Dio greco dell’amore e del desiderio. Tutti costoro e altri folli personaggi si trovano coinvolti nel bel mezzo di una guerra, dove nulla è¨ ciò che pensano sia. Una commedia mozzafiato ma anche una disincantata descrizione della Malesia d’oggi, crogiuolo di razze, religioni e culture, crocevia di un sottobosco spionistico internazionale, paradiso di corruzione per chi governa, chi regola l’ordine, chi gestisce l’informazione.
Cambiando editore (Marsilio), ma rimanendo nello stesso continente, è uscita la settima indagine che vede protagonista l’ispettore capo della polizia di Shanghai Chen Cao, Le lacrime del lago Tai, di Xiaolong Qiu, ormai uno scrittore di culto con milioni di copie dei suoi libri vendute in tutto il mondo. In questo nuovo caso è mirabile la decisione di denunciare l’avanzare dell’inquinamento selvaggio in Cina senza che nessuno, al potere, provi a fare qualcosa. L’ispettore capo Chen Cao è finalmente in vacanza, ospitato in una residenza di lusso sulle rive dell’idilliaco Lago Tai. Il cellulare spento, per una settimana vuole solo godersi la natura, passeggiare e dedicarsi al buon cibo. Ma l’incanto che avvolge il paesaggio è un’illusione: le acque del lago, da sempre rinomate per la loro purezza, sono devastate da alghe tossiche e fetide. L’economia intorno fiorisce e le fabbriche scaricano da decenni veleni senza curarsi delle conseguenze. Quando il direttore di una delle più importanti industrie chimiche della zona viene assassinato, i sospetti convergono su Shanshan, energica donna a capo di un movimento ambientalista. A Qiu non resta che prendere in mano le indagini e avventurarsi nel labirinto di un vero e proprio scandalo ecologico. Un romanzo ricco di suspence e con una poetica gustosamente orientale, un linguaggio diretto e pulito.