Per il presidente della Repubblica giorni difficilissimi: prima la Consulta sul Porcellum, poi l'asse M5S-Berlusconi contro di lui e ora la schiacciante vittoria del sindaco di Firenze, che potrebbe mettere a rischio i suoi piani di larghe intese
In quarantott’ore è cambiato un mondo. Prima l’asse Berlusconi-Grillo, poi il trionfo di Renzi alle primarie dell’Immacolata. Per Giorgio Napolitano, sono giorni difficilissimi. Il suo Sistema vacilla e potrebbe ricevere il colpo di grazia dal quasi 70% del sindaco di Firenze. Anche perché il nuovo segretario del Pd farà di tutto per tenersi a distanza dal Quirinale e smarcare un partito da due anni, cioè dal novembre 2011 del governo Monti, sotto schiaffo dal capo dello Stato. La fiducia di mercoledì, anche per ammissione dei renziani, non è in discussione ma adesso bisognerà capire quali contenuti e soprattutto quali scadenze conterrà il nuovo patto tra il premier Enrico Letta e il lanciatissimo sindaco.
Senza tanti giri di parole e ragionamenti in politichese, il nodo centrale per Quirinale e Palazzo Chigi è: Renzi, a questo punto, accetterà un patto fino al 2015? Oppure lavorerà per il voto nel 2014, come chiede anche l’asse “neopopulista” (per il Sistema) grillin-berlusconiano? Napolitano e Letta non reputano affidabili le promesse fatte sinora da Renzi, accompagnate comunque da una postilla non secondaria: “Il governo dura se fa le cose”. Ecco il secondo pilastro del patto che probabilmente i due, premier e segretario, inizieranno ad affrontare in un colloquio oggi pomeriggio, quando Letta ritornerà da Milano a Roma prima di ripartire in serata per il Sudafrica e le esequie di Mandela. A spaventare il governo delle ex larghe intese è la forza con cui Renzi si è imposto alle primarie.
Nelle ultime ore erano circolati sondaggi in cui il sindaco era dato al massimo al 55% e i più ottimisti hanno sperato addirittura in una cifra sotto il 50. Nulla di tutto ciò è successo e il bunker di Napolitano e Letta dovrà fare i conti anche con un altro dato: i numeri di Renzi e Civati dimostrano che più del-l’80% del Pd ha espresso insofferenza e mal di pancia per questo esecutivo. L’unico garante dello status quo, nelle urne delle primarie, è stato Cuperlo, il candidato dell’Apparato franato senza pietà. Avrà dato a lui il voto Letta, quando ieri mattina ha votato nella sezione Pd di Testaccio, quartiere più rosso di Roma?
Il commento ufficiale del premier all’elezione di Renzi è arrivato nella tarda serata di ieri, due ore dopo la chiusura dei seggi. Proprio l’appello a fare “argine contro il populismo” è la chiave per tradurre le speranze lettiane sulla durata del governo: “Una partecipazione così alta al voto è fondamentale per fare del Pd un argine contro il populismo crescente. Complimenti ai candidati che hanno condotto battaglie all’altezza della sfida. Sono sicuro che ognuno di loro spenderà al meglio la legittimazione e il consenso ricevuti”. Spendere al meglio significa rispettare il crono-programma del Quirinale: mai al voto prima di un anno, tenendo conto che Renzi dovrà mettere la faccia sul risultato delle elezioni europee, test fondamentale per valutare la linea realista del Pd che ha ingoiato, per esempio, gli scandali Alfano-Shalabayeva e Cancellieri-Ligresti.
Contro il “populismo”, dunque, con uno “spirito di squadra”, altra parola d’ordine per sottoscrivere il patto che vuole Letta: “Con il nuovo segretario, Matteo Renzi, lavoreremo insieme con uno spirito di squadra che sarà fruttuoso, utile al Paese e al centrosinistra”. Il premier riconosce la forza dell’insondabile “Matteo”: “L’ampia partecipazione dà forza alla sua leadership”. Il terreno dell’intesa si misurerà soprattutto sulla legge elettorale, dopo il terremoto provocato dalla Consulta sul Porcellum. Sabato scorso, anche a nome di Letta, Alfano ha frenato la sua nuova linea neoproporzionalista e ha aperto alla legge che piace di più a Renzi: quella del “sindaco d’Italia”, un doppio turno che al primo fotografa in maniera proporzionale i risultati dei partiti. Il punto è che a decidere dovrà essere il segretario. Per la prima volta dal 2007, il Pd ha un segretario che non intende allinearsi al culto nordcoreano del Colle. O almeno così dice.
da Il Fatto Quotidiano del 9 dicembre 2013