Lo ha annunciato il primo ministro in una conferenza stampa mentre una folla di duecentomila manifestanti anti-governativi marciava verso il palazzo del governo di Bangkok
La premier thailandese Yingluck Shinawatra ha sciolto il parlamento. Lo ha annunciato lo stesso primo ministro oggi in una conferenza stampa mentre una folla di duecentomila manifestanti anti-governativi marciava verso il palazzo del governo di Bangkok. La decisione potrebbe aprire la strada a nuove elezioni (forse già a febbraio): una soluzione per uscire dalla crisi politica già suggerita nei giorni scorsi da Yingluck. Ma i manifestanti non si fermano e, con simili proteste replicate in piccolo in alcune città di provincia, sembrano puntare ancora più in alto. Questo è l’ultimo round di una mobilitazione di massa della classe media urbana, che si protrae da dall’inizio di novembre lungo le strade di Bangkok con l’occupazione di diversi uffici ministeriali e del quartier generale delle forze di polizia.
Le proteste, guidate da Suthep Thaugsuban, ex vice primo ministro durante il governo d’opposizione 2008-2011, vogliono sradicare il “regime Thaksin”, ovvero interrompere il successo elettorale del magnate delle telecomunicazioni Thaksin Shinawatra, da ormai oltre un decennio il politico più amato del paese. Thaksin ha guadagnato il favore del numeroso elettorato rurale, in particolar modo delle provincie del nord e del nordest, con una serie di riforme populiste, da programmi di microcredito a una maggiore accessibilità alla sanità pubblica. In esilio per evitare condanne di corruzione pronunciate in contumacia, Thaksin è il fratello dell’attuale premier nonché l’anima del partito di maggioranza, Phuea Thai, che vinse le elezioni nel 2011 con lo slogan: “Thaksin pensa, Pheu Thai agisce”.
La popolarità di Thaksin ha subìto un drastico declino nella capitale da quando, nel 2005, voci delle sue presunte ambizioni repubblicane scatenarono l’impulso protezionista della classe media nei confronti dell’anziano e amato sovrano Bhumibol. Allora, le proteste aprirono la strada prima a un colpo di stato del 2006 e poi, in risposta a una nuova vincita elettorale del partito di Thaksin, a un secondo “golpe amministrativo” che nel 2008 insediò il governo di opposizione di cui Suthep era vice premier. Questo periodo di premiership dimostrò lo sprezzo nei confronti della maggioranza elettorale quando, nel maggio del 2010, l’esercito intervenne contro un’enorme manifestazione che chiedeva nuove elezioni. Gli scontri tra militari e manifestanti lasciarono sul campo quasi cento vittime. La Thailandia, nonostante lo scioglimento del governo e l’invito della premier a tornare alle urne, motivati probabilmente da una minaccia di licenziamento di massa dell’opposizione, rimane in stallo. Consapevole della minoranza del suo elettorato, il contraddittorio fine di Suthep sembra essere quello di fondare un oscuro “consiglio del popolo” formato da “gente pulita” tramite vie non elettorali per riportare la “vera democrazia” in Thailandia e combattere la “dittatura della maggioranza”. Questa iniziativa ottiene il sostegno della popolazione urbana grazie alla percezione di un elettorato di campagna stupido e corruttibile: un punto di vista comodo per sbaragliare la competizione di un nuovo elettorato la cui voce politica sembra implacabile dopo che la premiership di Thaksin ha dato loro un assaggio di auto-assertività e democrazia. La marcia di Suthep, conclusasi al palazzo del governo, culminerà stasera con un annuncio, si dice, decisivo: il leader della protesta, recentemente accusato di omicidio per la strage del 2010, non sembra avere nulla da perdere.
di Edoardo Siani