Ogni essere vivente ha i suoi predatori, dai quali cerca di difendersi; e non sempre il predatore ha l’aspetto e i denti della tigre o dello squalo. L’uomo è attaccato da batteri, virus, miceti e parassiti che ne sfruttano l’organismo per la propria sopravvivenza, causandogli malattie specifiche, infettive o parassitarie, dalle quali la medicina moderna lo difende con antibiotici, antiparassitari e antifungini. Il farmaco in questo caso è un veleno selettivo (un proiettile magico nella definizione di Paul Ehrlich, Premio Nobel per la Medicina del 1908), che uccide l’agente infettivo senza uccidere le cellule dell’organismo che lo ospita. Ho scritto in un post precedente sullo sviluppo di resistenza agli antibiotici nei batteri, un problema sul quale l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ripetutamente espresso la massima preoccupazione.

I virus sono agenti infettivi molto particolari. Sono responsabili di molte malattie la cui gravità varia dall’AIDS o il morbo di Ebola al raffreddore, e sono incapaci di vita autonoma: devono parassitare le cellule dell’organismo che li ospita, rifugiandosi al loro interno. Poiché ogni essere vivente è predato, anche i batteri hanno i loro virus: si chiamano batteriofagi e si replicano all’interno della cellula batterica, causandone la morte. Fin dalla loro scoperta, un secolo fa, era stato ipotizzato che i batteriofagi potessero essere usati come strumenti terapeutici nel corso di malattie dovute ad infezioni batteriche: tubercolosi, enteriti, otiti, etc. L’uso di batteriofagi in terapia è ispirato alla massima “i nemici dei miei nemici sono i miei amici” ed in alcuni casi ha effettivamente funzionato; purtroppo ha anche spesso dato risultati inconsistenti o erratici.

La ragione per la quale può funzionare una terapia delle infezioni batteriche basata sulla somministrazione di batteriofagi (o di loro componenti isolati) è semplice: i batteriofagi uccidono i batteri. Le ragioni per le quali questa terapia può non funzionare sono più complesse. In primo luogo i batteriofagi sono estranei al nostro organismo e, anche se non ci causano danni, sono attaccati dal nostro sistema immunitario che distingue ciò che appartiene all’organismo da ciò che non gli appartiene e non ciò che è utile da ciò che è dannoso. In secondo luogo, i batteriofagi per potersi replicare e trasmettere da un batterio all’altro hanno bisogno di una certa densità di batteri, che spesso non si realizza all’interno dell’organismo. In terzo luogo, molti batteri possono rendersi invisibili ai batteriofagi nascondendosi all’interno delle nostre cellule: ad esempio può farlo l’agente della tubercolosi, ed è obbligato a farlo l’agente del tifo esantematico.

La terapia delle malattie infettive mediante batteriofagi è per ora ad un livello sperimentale. Ha dato buoni risultati in alcune infezioni esterne ben localizzate (ad es. nelle otiti) ed ha grande interesse perché aggira il problema della resistenza agli antibiotici. Purtroppo sembra improbabile che possa diventare una reale alternativa agli antibiotici, se non per un piccolo numero di malattie abbastanza ben identificate.

 

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