Non era facile far arrivare al pubblico - che potrà vedere la pellicola nelle sale da giovedì 19 dicembre - una storia forte come quella della protagonista che commise "l'abominio" di restare incinta, senza scadere nella retorica delle lacrime facili. Eppure il genio registico di Stephen Frears e la recitazione di Judy Dench fanno il miracolo di commuovere sorridendo
Spesso non ci vuole la creatività di un soggettista per dar corpo a una storia che possa accattivare il pubblico. Alle volte basta aprire un giornale o farsi un giro in internet per trovarsi di fronte a centinaia di episodi di vita vera che facilmente vanno oltre l’immaginabile.
Questo Steve Coogan lo sa bene, produttore, co-autore e attore protagonista della pellicola che gli è valsa il Premio Osella per la miglior sceneggiatura a Venezia 70 e anche il Leone d’oro dei critici italiani. È bastato un titolo sul sito del britannico The Guardian a far scoccare la scintilla: “La chiesa cattolica ha venduto mio figlio“. Sarebbe stato impossibile non prestare attenzione a una notizia simile. Si trattava di un’intervista a Martin Sixsmith sul suo libro “The Lost Child of Philomena Lee” da cui è tratto il film, una storia tanto assurda quanto commovente, per la quale Coogan opzionò subito i diritti.
Lungimirante quindi e, per quanto abituato a una recitazione da commedia, all’altezza di un ruolo con cui rischiava di eclissarsi di fronte all’immensa interpretazione di Judy Dench. L’attrice premio Oscar, che con Stephen Frears, regista della pellicola, aveva già lavorato in “Lady Henderson presenta”, ci permette di dimenticarla per un secondo nei panni dell’algida e granitica Agente M nella saga di 007, regalandoci un personaggio tanto complesso quanto capace di rendersi da subito familiare allo spettatore.
Lui, Martin (Coogan) giornalista sofisticato e a tratti saccente, lei, Philomena, un’infermiera irlandese in pensione dalle ben più umili origini, che riesce a stento a stare al passo con i ritmi dell’ex corrispondente della BBC. Uno scontro tra due identità talmente diverse da sembrare distanti anni luce, ma che riveleranno non pochi punti in comune: trovare Anthony Lee.
Non era facile far arrivare al pubblico – che potrà vedere la pellicola nelle sale da giovedì 19 dicembre – una storia come quella della protagonista che, nell’Irlanda degli anni ’50, commise “l’abominio” di restare incinta ancora adolescente e che per questo venne spedita senza troppe remore in un convento di suore cattoliche. Difficile era far percepire il dramma che alimenta il racconto, quello vissuto da una madre ancora giovanissima che si vide strappare il figlio e che per anni tentò invano di rintracciarlo. Ma Coogan e Pope sono riusciti nell’ardua impresa di narrare una tragedia con leggerezza. E così la storia scorre veloce e per quanto drammatica, mantiene quell’alone di positività proprio della protagonista, che ha permesso ai due attori di inserire diversi elementi comici, strappando allo spettatore più di una risata.
Ci si commuove di fronte allo sguardo di Philomena carico di dolore e il minuto successivo ti ritrovi a sorridere di una sua battuta o dei lunghi racconti dei romanzi rosa che ama leggere. Di questo parla il film, della meravigliosa forza con cui si può combattere e restare in piedi anche di fronte a drammi enormi e a biechi esempi di umanità, mantenendo miracolosamente intatta la propria fede.