In Parlamento la fiducia alla nuova maggioranza senza Forza Italia. Il neo segretario del Pd dice ai gruppi: "Con 400 parlamentari possiamo cambiare l'Italia"
Matteo Renzi viaggia in quinta e se serve mette pure il turbo. Talmente spregiudicato e sicuro di sè da farsi portare a via Teulada negli studi di Ballarò da un taxi così grillino da esporre un adesivo con la scritta “né a sinistra, né a destra, M5S”. Da “capitano” del Pd gioca da punta di sfondamento, pronto a non fermarsi davanti a nulla. Due tappe “nazionali”: la registrazione di un’intervista per il programma di Floris e poi la riunione con i gruppi parlamentari del Pd in serata. “Il gioco di squadra? Se significa rimanere nelle sabbie mobili delle politica romana, allora no”, dice in tv. Un programma di vita. Obiettivo numero uno, la legge elettorale. Da fare subito. Ai gruppi del Pd sostanzialmente ieri sera ha detto: “Qui ci sono 400 persone che possono cambiare l’Italia”. In modo meno aulico si può anche tradurre: “O siete con me o siete morti”. Forte di questo, l’obiettivo è spostare la legge elettorale alla Camera (in barba ai veti espressi dalla Finocchiaro e forte dell’appoggio dichiarato di Letta) portare a casa rapidamente un modello il più bipolarista possibile (doppio turno alla francese o Mattarellum corretto in senso maggioritario) e a quel punto andare in Senato, sfidando tutti a bocciargliela. Pena la gogna mediatica.
Se la incassa, potrebbe anche decidere di chiudere con quello che lui stesso definisce “il governo dei rinvii” e andare al voto il prima possibile. Se non la incassa, l’obiettivo è tornare al Mattarellum corretto con Forza Italia e Movimento 5 Stelle. E magari votare ad aprile o maggio. La strada che ai renziani più informati sembra ancora la più probabile. Nonostante “il capo” ci tenga a ribadire pubblicamente che il governo può durare, dando le tappe della sua road map. Condizione unica e imprescindibile: Enrico Letta deve seguirlo su tutto. Il premier “domani (oggi, ndr) farà un discorso generale, poi ha un mese per concretizzare”, dice a Ballarò. Una fiducia “pro-forma” la definiscono i suoi, e a gennaio si fanno i veri giochi. Tradotto dallo stesso Renzi: “Votando ora la fiducia dobbiamo prenderci il tempo per dire cosa faremo nel 2014”. Poi corregge, addolcisce: “Letta ha l’occasione di andare avanti un anno”. Ragiona Matteo Richetti: “Matteo potrebbe scegliere di presentarsi da capolista ovunque alle europee, portare il Pd oltre il 30% e a quel punto far terminare il semestre europeo a quest’esecutivo e poi andare al voto”. Con accordo preventivo sulla data del voto. E dunque evidente definizione dei rapporti di potere.
Con la spregiudicatezza che gli è propria, Renzi sta parlando con tutti. Nell’immediato vedrà (o almeno sentirà) Berlusconi. Per conto di Alfano, i suoi parlano con Cicchitto. E in Parlamento i renziani trattano già anche con i grillini. D’altra parte lo stesso Matteo ieri l’ha detto negli studi Rai: “Grillo ha 160 deputati, se votano la proposta del Pd sul Senato si fa”. A breve il neo segretario salirà pure al Colle per un incontro con Napolitano che s’annuncia dialettico. Il Pd per ora – volente o nolente – ce l’ha in pugno: il partito che non sta con lui è triste, diviso e pure poco organizzato.
Non a caso Renzi viene accolto alla riunione dei gruppi da trionfatore, con tanto di omaggio collettivo e abbraccio con Bersani. Lui affonda, sfruttando tutto il vantaggio senza mezzi termini: “La palla ce l’abbiamo noi”. Vediamoci in modo costante”. Poi, detta le tappe del suo percorso: “Entro il 25 maggio la legge elettorale e anche la prima lettura sull’abolizione del Senato”. La prima, però, se c’è accordo politico si fa in 20 giorni, ci tiene a dire. È più dialettico, più possibilista che in tv. Scherza: “Se tra noi c’è chi sogna soluzioni inciuciste, vedo Fioroni che ride, deve rassegnarsi”. Aveva già chiarito di non avere alcuna intenzione di presentare Bindi e D’Alema alle europee. Poi le rassicurazioni: “Sono pronto a siglare un patto con Letta dopo la legge di stabilità”. Disponibilità massima a parole. Nei fatti è tutto da dimostrare. Il Pd comunque non sembra in grado di nuocergli. Per ora.
I cuperliani ieri hanno fatto una riunione post-sconfitta. Cuperlo si è offerto di guidare una “area politica” (volgarmente detta corrente). Quindi aspetta indicazioni sulla presidenza dell’Assemblea: Renzi l’ha offerta a lui medesimo, ma lui ha risposto che preferisce evitare. Gli pare un premio di consolazione. E allora, si cerca un nome concordato. Racconta Alfredo D’Attorre: “I turchi sarebbero già voluti entrare in segreteria con uno dei loro, ma noi abbiamo preferito evitare. Il che non vuol dire tirarsi fuori, ma collaborare in altro modo. Per la presidenza ci andrebbe bene Cuperlo se lui volesse, se lui non vuole invece siamo per dare un mandato a lui per trattare direttamente con Renzi su un nome”. La riunione è stata aggiornata a oggi. “Forse”. O a domani.
Da Il Fatto Quotidiano dell’11 dicembre 2013