Il Pd vuole mettere la parola fine alla querelle tra Camera e Senato, che da settimane si litigano la legge elettorale. A dare il colpo decisivo, Luigi Zanda, capogruppo dei democratici a Palazzo Madama: il senatore ha comunicato al presidente Pietro Grasso che l’esame della legge può passare alla Camera. La decisione era stata presa ieri all’assemblea dei gruppi con il segretario Matteo Renzi e nessun parlamentare Pd si era opposto. Sul probabile passaggio di consegne, la presidente di Montecitorio Laura Boldrini ha voluto precisare, nella conferenza dei capigruppo, che non c’è nessuna “volontà di scippo o competizione con il Senato”.
La mossa dei democratici, partito di maggioranza relativa al Senato, sembra chiudere la partita che si giocava tra le due Aule per accaparrarsi l’esame del provvedimento. Una sfida che non era piaciuta al vicepremier Angelino Alfano. “Non comprendo a fondo il senso di questa gara. Il punto è la sostanza” della legge, aveva sottolineato il ministro dell’Interno. Il leader del Nuovo Centrodestra aveva aggiunto che nel nostro “bicameralismo perfetto il problema non è solo da dove si inizia, ma dove finisce” l’esame della legge elettorale.
Ma a fischiare la fine del match devono essere i presidenti delle due Aule. Infatti, martedì 10 dicembre la commissione Affari Costituzionali della Camera aveva calendarizzato il provvedimento a Montecitorio: la mossa dei deputati, secondo il regolamento parlamentare, determina che Pietro Grasso e Laura Boldrini si mettano d’accordo per decidere l’Aula da cui partirà l’esame della legge. In giornata, la terza carica dello Stato ha fatto sapere di avere “inviato una lettera al presidente del Senato per raggiungere le intese previste dal regolamento della Camera sull’iter della legge elettorale”. Con la presa di posizione del Pd, però l’esito della decisione pende tutto dalla parte di Montecitorio.
Ma sulla riforma elettorale la partita non è aperta solo tra Camera e Senato, ma anche all’interno dello stesso Pd. La linea vincente è stata, e non poteva essere altrimenti, quella del segretario fresco di nomina Matteo Renzi. “Si tolga dal Senato, dove l’hanno tenuta a candire per qualche mesa, lasciandola lievitare come fosse pasta da pizza”, aveva detto il rottamatore sulla legge. “Partiamo dalla maggioranza ma poi dobbiamo allargare anche all’opposizione. Dobbiamo portarla a casa entro il 25 maggio“. Entrando nel merito del provvedimento, la posizione di Renzi è nota: doppio turno in stile “sindaco d’Italia”. Un’ipotesi che non incontra il favore dellex segretario Pierluigi Bersani: “E’ un modo di dire, credo, perché questo significherebbe l’elezione diretta del capo del governo. Non c’è in nessun Paese al mondo, c’era in Israele, ma neanche lì è più in vigore”. E prima dell’assemblea dei gruppi Pd, Anna Finocchiaro aveva lanciato un avvertimento sullo “scippo” del provvedimento alla commissione Affari costituzionali del Senato, di cui è presidente: “Alla Camera l’accordo sulla legge elettorale non c’è e se c’è potrebbe far saltare la maggioranza”.