Accade a Nelson Mandela quello che già era accaduto a altri grandi uomini, da Gesù Cristo in poi, ma anche prima. E cioè che siano in molti, non tutti all’uopo qualificati, a tentare di accaparrarsene la figura, facendosi forti dell’ignoranza generalizzata e del rumore di fondo dei media che spesso confondono le idee più di quanto non le chiariscano.
Il record del grottesco lo ha toccato, certo, la pitonessa Santanchè, la quale sprezzando il ridicolo non si è peritata di paragonare Mandela a Berlusconi. Una risata vi seppellirà, si diceva una volta. Ma di fronte a un’autosatira di questa intensità non si riesce nemmeno più a ridere. Ma non è certo la sola a fare riferimenti impropri al grande leader anti-apartheid. Stefano Feltri, assai misteriosamente, riferisce che Renzi sarebbe considerato di destra perché preferisce Mandela a Berlinguer, una frase che passerà alla storia come modello di chiarezza, chissà che cosa avrà voluto dire? Che Mandela era di destra? Che Berlinguer era più a sinistra di Mandela? Che Renzi in realtà è di sinistra? Che Renzi non sa nulla né dell’uno né dell’altro? Boh, si attendono chiarificazioni, ma forse la questione non è così importante.
Non sono del resto mancati, nemmeno in quest’occasione, gli insulti, che ci fanno capire anch’essi a che punto di bassezza siamo giunti nel nostro Paese. Mi riferisco a quel consigliere leghista che ha definito Mandela “una belva assetata di sangue bianco”. In coerenza del resto con chi vorrebbe introdurre in Italia una sorta di caricatura dell’apartheid sudafricana che Nelson e l’Anc hanno sconfitto e espulso per sempre dalla storia.
Non è stata una lotta facile. All’epoca i dirigenti razzisti sudafricani erano convinti che avrebbero infine dimostrato ai governi dell’Ovest come l’apartheid non fosse un relitto del passato ma un modello per il futuro. E avevano dalla loro parte tutti i poteri economici e finanziari che contano.
Alla fine questa lotta è stata vinta per effetto di alcuni fattori che forse è il caso di ricordare:
1. la lotta dei neri e dei coloured sudafricani, come pure dei bianchi antirazzisti, che hanno pagato un altissimo tributo di sangue e di anni di prigionia, torture, massacri e sparizioni.
2. la mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale in tutto il mondo, che ha costretto in alcuni casi le aziende, sensibili come al solito solo ai richiami del denaro e del profitto, e i governi, guidati dalle necessità della diplomazia dei poteri effettivi, a boicottare il regime razzista.
3. l’impegno militare di Cuba, che sconfisse l’esercito sudafricano, ritenuto all’epoca uno dei più forti del mondo, nella storica battaglia di Cuito Canavale. Un aspetto sul quale vale la pena di insistere, dato il silenzio dei media conformisti al riguardo. Aspetto del resto sempre riconosciuto da Mandela, di cui era noto l’affetto profondo per Cuba e per Fidel, e da molti altri in Africa. Inserito del resto in una coerente impostazione antiimperialista sulla quale i media dominanti oggi tacciono. Mandela ebbe in effetti ad affermare che la battaglia di Cuito Canavale fu un momento determinante nella lotta contro l’apartheid. Sarebbe il caso, vorrei aggiungere, che Obama, il quale ha dichiarato più volte la sua devozione per Mandela, prendesse spunto dalla sua morte per liberare finalmente i quattro ancora in carcere negli Stati Uniti dei cinque eroi cubani dei quali vi ho più volte parlato. Essi fra l’altro, prima di raccogliere informazioni sui gruppi terroristici anticubani operanti in Florida, avevano partecipato proprio alla guerra in Angola, dando come molti altri giovani volontari cubani, un contributo decisivo alla fine del regime razzista, sconfiggendolo sul piano militare.
Mandela stesso, che oggi si vorrebbe ridurre a un’icona innocua buona per tutti gli usi, praticò e organizzò la lotta armata contro il regime razzista. Egli, come tutti i grandi rivoluzionari, seppe unire l’intransigente volontà di combattere l’ingiustizia e l’oppressione con ogni mezzo necessario alla capacità di ideare e costruire uno Stato di diritto in cui trovassero accoglimento le istanze e i bisogni di ciascuno. Fra l’altro, era anche presidente onorario dell’Associazione internazionale dei giuristi democratici, del cui organismo direttivo mi onoro di far parte da tredici anni.
In una società costantemente esposta al risorgere dei veleni del razzismo, potentemente alimentati dalla crisi attuale, il suo messaggio assume un valore di enorme portata ed indiscutibile attualità. Ci guida verso la società multietnica, ma unita nella difesa di valori fondamentali, come appunto quello dell’eguaglianza, che dobbiamo costruire anche nel nostro Paese realizzando la Costituzione repubblicana che molti vorrebbero smantellare.