Ecoinnovazione e lavori verdi, ecco come si combatte la crisi. È il messaggio del Parlamento europeo che giovedì 12 ha approvato a Strasburgo la relazione Ecoinnovazione – occupazione e crescita mediante la politica ambientale. I numeri parlano da sé: le imprese ecologiche europee producono un fatturato annuo di 319 miliardi di euro (il 2,5% del Pil dell’Ue) e impiegano attualmente 3,4 milioni di persone. Si tratta di uno dei pochi settori economici che ha continuato a crescere in anni di recessione, sia pur meno che prima della crisi.

Tra il 2004 e il 2008 sono stati creati circa 600mila nuovi posti di lavoro in questo settore che vanta un tasso annuale di crescita dell’occupazione di circa il 7 per cento. Negli ultimi anni sono stati creati circa un milione di nuovi posti di lavoro verdi e in molti Paesi le tecnologie verdi (dette anche tecnologie pulite) sono già tra i maggiori datori di lavoro dell’economia europea. Solo in Germania, tanto per fare un esempio, contribuisce all’8 per cento del Pil e si stima che salirà al 14 per cento entro il 2020. In Austria il 4,8 per cento del totale dei lavoratori dipendenti è impiegato nel settore dell’economia verde che, nonostante la crisi economica, è cresciuto dello 0,6% dal 2010 al 2011.

Con l’approvazione di questa risoluzione (che tuttavia non ha valore legislativo) il Parlamento europeo chiede alla Commissione europea più coraggio nell’incentivare l’ecoinnovazione e una migliore definizione di “lavori verdi”. Questa definizione, secondo gli eurodeputati, dovrebbe includere anche norme minime relative alle condizioni di lavoro e servire per calcolare gli effetti sull’occupazione netta della creazione di occupazione e di crescita verdi.

Eppure in Italia il concetto di ecoinnovazione non ha ancora attecchito come dovrebbe. A dirlo è stato il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando all’apertura della Conferenza nazionale su La natura dell’Italia: “A volte ho come l’impressione che il nostro Paese non abbia consapevolezza di cosa già oggi rappresenti l’economia verde”. Anche qui a parlare sono i numeri: secondo il ministro i “green jobs”, per dirla all’inglese, sono più di 3 milioni, con oltre 50mila assunzioni solo nel 2013. Una spinta all’Italia per investire nel settore l’ha data anche il Commissario Ue all’Ambiente, lo sloveno Janez Potočnik, in visita a Roma in questi giorni: “Per me la via per la prosperità mondiale è chiara. Sarà determinata dal modo in cui gestiamo le risorse naturali del pianeta e gli ecosistemi soggiacenti”.

Eppure in Europa, nonostante qualche esempio virtuoso, una certa economia verde resta un settore di nicchia. Nathalie Girouard, responsabile dell’unità crescita verde dell’Ocse, si è recentemente detta “rammaricata” del fatto che a livello nazionale ci sia così poca coordinazione tra i vari dipartimenti e ministeri. “Se in un governo, il ministero dell’energia finanzia i combustibili fossili, mentre quello delle finanze cerca di far entrare in vigore una tassazione verde, allora gli investitori si trovano di fronte a un vero problema”.

Eppure l’Ue mette a disposizione cospicui fondi per finanziare l’ecoinnovazione e l’imprenditorialità ambientale. Fino a quest’anno solo per l’ecoinnovazione erano a disponibili 433 milioni di euro nell’ambito del Programma quadro per la competitività e l’innovazione (Cip). A questo bisogna poi aggiungere i finanziamenti del programma Life+ che cofinanzia progetti che contribuiscono allo sviluppo e alla dimostrazione di approcci politici, tecnologie, metodi e strumenti innovativi, rivolti principalmente al settore pubblico. A partire dal 2014, la principale fonte di finanziamento sarà Horizon 2020, il nuovo programma Ue di ricerca e innovazione 2014-2020. Esiste addirittura un Piano d’azione per le tecnologie ambientali (EcoAP) che vuole, tra le varie cose, informare sull’esperienza maturata finora in Europa, promuovere le pratiche virtuose e fare luce sui finanziamenti a disposizione.

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