Le proposte avanzate in commissione Bilancio alla Camera puntano a ridurre l'imposta sulle transazioni finanziarie, ma anche ad allargare la base imponibile colpendo soprattutto i comportamenti speculativi. E le principali istituzioni finanziarie alzano la voce inviando un documento carico di perplessità
Pagare meno, pagare tutti. È questa in estrema sintesi la filosofia delle proposte avanzate in commissione Bilancio alla Camera in merito alla Tobin Tax italiana, l’imposta sulle transazioni finanziarie contenuta nella legge di Stabilità tuttora in esame. L’imposizione fiscale scende allo 0,01% contro lo 0,1 della versione precedente ma il campo di applicazione si estende a dismisura. L’obiettivo è quello di penalizzare le operazioni speculative colpendo in modo più severo gli operatori finanziari e ottenendo un gettito previsto da 1 miliardo di euro. Non si è fatta attendere la reazione del mondo della finanza, che ha già alzato la voce facendo recapitare sul tavolo della Commissione un documento di analisi carico di perplessità. Il testo, non firmato, sarebbe stato realizzato dalle principali istituzioni finanziarie italiane ed estere, particolarmente scettiche, se ne deduce, nei confronti dell’emendamento 1.866, sostenuto da un fronte ampio che spazia dai parlamentari del Pd Bobba, Castricone, Fanucci, e Zanin ai loro colleghi Marcon (Sel), Tabacci (Misto-Centro democratico), Andrea Romano (Scpi), Misuraca (Ncd) e Borghesi (Lega Nord).
Tra le principali novità la tassazione dei passaggi di proprietà di azioni, obbligazioni (esclusi i titoli di Stato), strumenti partecipativi, certificati di deposito e quote Oicr (Organismi di investimento collettivo del risparmio) emessi da tutte le società con residenza fiscale in Italia. Secondo la proposta, in altre parole, anche le società quotate in Borsa con capitalizzazione inferiore al mezzo miliardo di euro, tuttora esentate dalla Tobin, dovrebbero essere tassate come le altre. Ma ad agitare i sonni degli operatori c’è soprattutto la tassazione del cosiddetto Intraday, probabilmente la misura di maggiore impatto. Nella versione attuale la tassazione colpisce solo il cosiddetto saldo netto giornaliero, in pratica il risultato finale sulle operazioni condotte sui titoli nel corso della giornata. Se l’emendamento fosse accolto, ad essere tassate sarebbero anche le singole operazioni realizzate nella sessione di mercato. Un sistema che colpirebbe soprattutto i comportamenti speculativi che, come noto, si fondano proprio sulla possibilità di operare un numero particolarmente elevato di scambi per guadagnare sui singoli margini. Colpiti dalla tassa, salvo qualche eccezione, anche i derivati qualora anche una sola delle parti coinvolte nello scambio risulti residente (o controllata da un soggetto residente) in Italia. I fondi pensione, infine, non sono esentati.
Nella maxi proposta potrebbero confluire in qualche modo altri due emendamenti: il 1.2261 e il 1.139. Il primo è firmato da sette parlamentari di Sel (Airaudo, Migliore, Di Salvo, Placido, Boccadutri, Marcon e Melilla), e sostiene anch’esso la tassazione sull’intraday. Il secondo è promosso da quattro esponenti del Pd (Coppola, Rosato, Fanucci e Madia) e presenta una proposta particolarmente forte. “Il trasferimento della proprietà di azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi (…), emessi da società residenti nel territorio dello Stato, nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza (…) verso società o enti esteri aventi sede in Stati che non permettono l’identificazione dei soggetti che ne detengono la proprietà o il controllo” si legge nel testo in esame, sarebbero soggetti “ad un’imposta (…) con l’aliquota del 50 per cento”. Tradotto, tutto ciò che dall’Italia o verso l’Italia si muove attraverso i paradisi fiscali (qualora rientri nelle categorie dei titoli colpiti dall’imposta) verrebbe tassato per metà del suo valore invece che per il classico importo dello 0,01%. Gli operatori finanziari, come si diceva, non l’hanno presa particolarmente bene. Nel documento inviato alla Commissione, si contesta l’intenzione dei promotori dell’emendamento principale (l’1.866) di “precorrere nuovamente i tempi rispetto a quella che potrà essere la configurazione finale della direttiva Ue” accusando le proposte stesse di “voler emulare le ambizioni tedesche, quasi volendo compiacere i ‘desiderata’ di una economia concorrente ma di forte influenza sui tavoli internazionali”.
All’attenzione del documento anche gli scarsi risultati ottenuti dalla tassa nel corso di quest’anno, appena 159 milioni di euro, ad oggi, contro il miliardo inizialmente previsto. Un risultato, replica però Leonardo Becchetti, docente di Economia all’Università Tor Vergata e portavoce di Zerozerocinque, la campagna italiana di sostegno alla tassa, frutto di una prima versione della legge “piena di buchi, a cominciare dall’esenzione dell’Intraday trading e dalla capacità degli intermediari di eludere l’imposta registrandosi come market makers”. Secondo le stime di Becchetti, la versione rivista della Tobin dovrebbe produrre l’auspicato gettito da 1 miliardo “calcolando un ammontare complessivo di scambi sul mercato italiano pari a 11 trilioni di euro all’anno”. “L’obiettivo – prosegue Becchetti – è quello di ridurre la speculazione e favorire le attività finanziarie a sostegno dell’economia reale. Gli Stati Uniti hanno appena approvato la Volcker Rule segnando la giusta direzione da seguire. Mi sembra che da parte del mondo finanziario ci sia poca responsabilità nel rifiutarsi di pagare un contributo minimo che diventa poi nullo dal punto di vista di chi investe nel lungo periodo”.