“L’Espresso non sa più che pesci pigliare. A lapidazione avvenuta, tenta adesso di nascondere la mano che ha scagliato così tanti sassi contro la persona del ministro Brunetta”. Era la fine del 2008 e il portavoce dell’allora ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, annunciava querela contro L’Espresso per una serie di servizi a firma di Marco Lillo ed Emiliano Fittipaldi. ”Tenuto conto degli esiti di una precedente azione giudiziaria contro il Gruppo l’Espresso-Repubblica, confidiamo – concludeva il portavoce – che il ministro Brunetta possa dotarsi, questa volta non a sue spese, di una nuova abitazione”.
Invece il giudice della I sezione Civile del tribunale di Roma cui l’attuale capo gruppo alla Camera di Forza aveva chiesto di condannare il settimanale e i due giornalisti a pagare 7 milioni e mezzo di euro per danni patrimoniali e non patrimoniali ha condannato l’ex ministro a rimborsare le spese processuali per 30 mila euro. Secondo il giudice “la domanda è infondata, atteso che in tutti gli scritti risulta rispettato il requisito della veridicità delle pubblicazioni”. Gli articoli contestati erano sei e tra questi anche quello dell’acquisto a prezzi scontati di una casa riscattata dall’Inpdap e di “rudere” a Ravello poi ristrutturato. Vera – riconosce il magistrato – anche “la notizia del mancato superamento del concorso nazionale del 1992 per il conseguimento del titolo di professore ordinario all’università…”. Esclusa anche la “portata offensiva” anche di alcune affermazioni. Esclusa quindi anche la “portata diffamatoria” del video presente sul sito internet del giornale dal titolo “Brunetta video story”.