Dal punto di vista meramente economico, l’accordo non tratteggia mutamenti epocali, ma liberalizza il commercio dei beni trascurando i servizi che stanno a cuore alle economie avanzate) in due modi:
1) Procedure più efficienti e rapide alle dogane, trasparenza, lotta alla corruzione, informatizzazione della burocrazia eccetera
2) La diminuzione dei sussidi all’agricoltura, esenzioni per i programmi di sicurezza alimentare e minori restrizioni alle esportazioni di cotone dai paesi poveri.
L’impulso all’economia mondiale è valutato in un trilione di dollari, ma è la valenza politica a dominare. Nonostante la crisi devastante, 159 nazioni (inclusi irriducibili come Venezuela, Argentina, Cuba e Nicaragua) hanno resistito al riflesso condizionato delle ricette protezioniste, e sottoscritto il principio che per reagire alla crisi va estesa la libertà economica.
Ora sarà più facile aggirare le Maginot politiche che sbarrano l’accordo su settori chiave come telecomunicazioni, finanza, tecnologia e quant’altro. Quasi sicuramente si intensificheranno i negoziati regionali come quello sull’area di libero scambio transatlantica, capaci di dare un impulso potente alla crescita e ricacciare nella pattumiera della Storia i rigurgiti autarchici.
Il Fatto Quotidiano, 11 Dicembre 2013